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Sardegna

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Vivere la campagna

Magica Bell'Italia

copertina Magica Bell'Italia
n. 38/2007 - Editoriale Giorgio Mondadori

 

Pabillonis nel Medio Campidano. Da paese delle pentole a capitale dei fuochi d’artificio.

Sull’origine del nome Pabillonis esistono diverse teorie. Secondo alcuni deriverebbe dai paviliones, gli accampamenti medievali che i giudici di Arborea tenevano nella zona per difendersi dai tentativi di invasione nemici. Per altri, Pabillonis ha la stessa radice di paberile, che nella Sardegna dei secoli scorsi indicava la campagna, l’aia, il luogo dove si consumavano i riti contadini. Ad accreditare quest’ultima versione starebbe il fatto che il paese di Pabillonis è situato nella piatta distesa del medio Campidano ed è un tipico centro ad economia agricola della Sardegna meridionale. 

Benché ambito dalla più importante arteria isolana, la statale Carlo Felice che unisce Cagliari a Sassari (al km 55, all’altezza di Sardara, un bivio vi ci conduce in pochi minuti), sono pochi i sardi o i turisti che vi si recano o che vi si fermano. Eppure il paese merita più d’una visita, e per più d’un motivo.
Noto in tutta l’isola come sa bidda de is pingiadas, il paese delle pentole, Pabillonis ha vissuto per secoli sull’economia indotta dall’intensa lavorazione delle argille locali per la produzione di stoviglieria da cucina, che copriva il novanta per cento della richiesta di pentole dell’intera Sardegna. Era un’attività che occupava numerose case-laboratorio e si tramandava di padre in figlio, insieme alle diverse ‘specializzazioni” in cui si scomponeva: c’erano infatti i pentolai, ma dall’argilla si ricavavano anche tegole, mattoni ed altri oggetti in terracotta. In Sardegna esistevano ed esistono numerosi centri di produzione di stoviglie in terracotta, ma quelle di Pabillonis avevano un pregio che le rendeva le migliori di tutte. Si facevano apprezzare per la straordinaria leggerezza, che non era segno di fragilità ma anzi di robustezza: il segreto stava nella particolare miscela usata dai pentolai di Pabillonis, tin misto di argilla delle cave locali e di galena che si estraeva dalle vicine miniere di Montevecchio. Questo le rendeva più resistenti al fuoco e più durature. 

Oggi, con l’avvento dell’ alluminio e di altri materiali, la produzione di pentole è andata velocemente scemando. Ma mentre la giovane e battagliera amministrazione comunale raccoglie in musei e pubblicazioni la memoria dei tempi d’oro, un gruppo di giovani artigiani locali sta tentando di riportare in vita, con grande forza di volontà, una tradizione che ha fatto grande il paese.
Ma ci sono altri aspetti per i quali Pabillonis è capace di sorprendere. Per esempio altre tre forme molto fiorenti di artigianato: la cestineria, la tessitura e la coltelleria.
Presso diversi artigiani locali è possibile ammirare e comprare esemplari di cestini intrecciati con diverse materie prime: l’asfodelo, la palma nana, il giunco, il fieno, la canna e il salice. Ce n’è per tutti i gusti e di tutte le forme: piatti o fondi, con o senza manici. Quelli più particolari sono i cestini ideati e realizzati per contenere le pentole che andavano in vendita in giro per la Sardegna. Nei tempi antichi le donne del paese giravano l’isola a piedi, trasportando in equilibrio sulla testa le ceste (crobis) dentro cui era contenuta sa cabidada, una serie di pentole composta da cinque pezzi. Uno squarcio della vita d’un tempo di Pabillonis e del territorio limitrofo lo si può godere nella bellissima casa-museo (situata in vico Tasso, a due passi dal municipio: tel. 070.93.53.842) in cui Rita Cossu e il giovane figlio Jacopo hanno raccolto costumi e attrezzi tradizionali dei secoli scorsi. Rita è una donna minuta e gentile, forte di carattere e di sapienza antica. Produce costumi sardi e rifornisce dei suoi manufatti i gruppi folk di mezza Sardegna: merito anche del fatto che, tra le vecchie macchine da lavoro, annovera una plissettatrice che è l’unica nell’Isola in grado di riprodurre le mille pieghe delle gonne tradizionali. Stare a guardarla mentre lavora con questi vecchi strumenti gonne, giubboni, corpetti e scialli è come tuffarsi in un’atmosfera d’altre epoche. Non è da mancare, poi, una visita al signor Augusto Cara, fabbro in pensione che ha raccolto nel cortile di casa (via Gramsci 13, tel. 070.93.53.662) un autentico museo di carretti, calessi, carri a buoi e carrettini a traino d’asino, alcuni antichi di oltre duecento anni. 

E per concludere in maniera pirotecnica, che dire del fatto che al giorno d’oggi Pabillonis produce il 90 per cento del fuochi d’artificio fabbricati nell’Isola, e che li esporta anche all’estero? Di fabbriche di fuochi ce ne sono addirittura tre, proprietà di famiglie di origine napoletana (Oliva) ma qui trapiantate da diverse generazioni. Ai primi di giugno Pabillonis dedica ai suoi fuochi un festival chiamato Fantasia di luci, pretesto per scoprire anche un territorio ricco di storia e di tradizioni. Che proseguono ad agosto con la festa patronale, dedicata alla Madonna della Neve, e poi a fine settembre con il rito de sa coja pabillonesa, un matrimonio in costume secondo tradizione.
Il territorio di Pabillonis, inoltre, è ricco di presenze archeologiche, tra cui spiccano diversi nuraghi e siti funerari che datano dall’età punica all’Alto Medioevo.
Aldo Brigaglia