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Sardegna

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Vivere la campagna

Mare Nostrum

copertina Mare Nostrum
n. 24/2006 - Mare nostrum Editrice Srl

 

In visita al Castello di Sanluri.

C’era una volta intorno al 1300 circa, al centro del Medio Campidano, un borgo con il suo castello: Sanluri. Siamo in pieno periodo medioevale con la Sardegna suddivisa in quattro giudicati: Sanluri si trova in posizione limitrofa tra il giudicato di Cagliari e quello d’Arborea (Oristano) a cui appartiene. È l’epoca dei castelli. Il castello era la fortezza, dalla quale le popolazioni si difendevano dagli attacchi esterni spesso condotti da truppe armate di catapulte. E il castello di Sanluri, per la sua posizione, svolgeva una importante funzione di controllo di confine in quanto le vedette dalle sue torri erano in grado di controllare tutti i movimenti per un raggio di decine di chilometri: avvistare la polvere sollevata da un gruppo di cavalli o un qualche raggruppamento di nemici in avvicinamento. L’altro compito importante era il controllo dell’unica strada che collegava la Sardegna del sud a quella del nord, una funzione di dogana per il traffico di merci e passeggeri, il cui pedaggio, riscosso anche in tempo di pace, costituiva per i Signori della zona un importante fonte di reddito. 

Durante il periodo medievale erano circa una novantina i castelli edificati in Sardegna dei quali oggi non rimangono che i ruderi. Questo perché sotto il dominio degli aragonesi persero l’originaria funzione di fortezza, e furono abbandonati. L’unico castello medievale rimasto integro fu proprio quello di Sanluri. 
Perché?
A differenza degli altri manieri, spesso costruiti in luoghi solitari e impervi, questo castello godeva di una ottima posizione: era stato realizzato in territorio pianeggiante, aveva un borgo fortificato intorno, il pozzo al suo interno e una importante arteria di comunicazione nelle vicinanze. E il re Pietro IV il Cerimonioso, l’allora re d’Aragona, modificò il castello rendendolo più abitabile. Difatti aveva promulgato con alcuni editti la spesa per la sua ristrutturazione e il rafforzamento. 

Come fu modificato? Le dimensioni del cortile originario furono ridotte per creare al suo interno un palazzo in grado di ospitare la sua corte, o permettere alla famiglia del castellano di viverci più comodamente. Infatti in origine il castello era solo un torrione con un cortile racchiuso da un grande muro di cinta: un vero e proprio bunker. “Oggi, se osserviamo le pareti interne dei nuovi edifici adibiti a “palazzo” vediamo che il loro spessore è di settanta centimetri, non due metri come l’originale parete esterna. Essi cioè sacrificarono una parte di cortile per ricavare questi ambienti che quindi hanno una sessantina di anni in meno del resto. Anche dagli stessi criteri architettonici notiamo il cambiamento di utilizzo: le finestre sono diventate grandi e luminose, in grado di fare entrare la luce e l’aria, vi si potrebbe vivere senza accendere la luce. Mentre nella struttura originaria, il torrione è completamente buio. La luce filtra solo dalle feritoie che dovevano servire affinché chi vi stava dentro con l’arco potesse scoccare le frecce contro gli assalitori, svolgendo una funzione minima di illuminazione e ricambio d’aria. Fa impressione poter percorrere gli ambienti in cui è vissuta anche la regina Eleonora D’Arborea per cinque anni durante una aspra fase delle guerre condotte contro l’esercito aragonese. 

Dopo la sconfitta delle truppe giudicali, il castello fu abitato dai feudatari spagnoli che lo ebbero in possesso con il territorio circostante”, racconta Manuel Villa Santa, appartenente alla famiglia attualmente proprietaria del castello. “Oggi il castello è stato riconvertito per una terza volta, questa volta in chiave museale. Ospita infatti tre musei, di cui uno fortemente voluto dopo la sanguinosissima prima guerra. La Sardegna era stata la regione che aveva pagato il prezzo di sangue più alto di tutti grazie al sacrificio dei suoi coraggiosi soldati. Questi eroi avevano diritto ad un museo che ricordasse alle generazioni future il loro valore! 

Fu così che il duca d’Aosta decise di fondare un museo in onore dei caduti sardi durante la prima guerra mondiale. E chiese al suo fidato consigliere militare, il generale Nino Villa Santa, di individuare una struttura adatta ad ospitare tale museo. Fu trovato questo castello, ormai abbandonato dai precedenti proprietari feudatari, dopo l’acquisizione dei feudi da parte di Carlo Alberto. Insieme lo ristrutturarono e iniziarono ad allestire il primo museo, con i cimeli di guerra che il duca spediva in Sardegna. Fu così che intorno agli anni 20-25 che nacque il museo delle guerre risorgimentali e della prima guerra mondiale in onore dei sardi caduti per la patria”.
Durante il fascismo e le guerre coloniali, il generale Villa Santa, ebbe il compito di comandare una delle divisioni italiane che secondo i dettami di Mussolini era andata “a riprendersi il posto al sole”. È il periodo della missione in Abissinia. Il generale fu inviato in Etiopia per la riconquista di Adua. Ogni volta che individuava oggetti importanti, li catalogava e li spediva in Sardegna. Finita la guerra, il castello ebbe il suo secondo museo: un museo sulle guerre Coloniali ed il Ventennio Fascista. I Villa Santa sono una famiglia di collezionisti e amanti dell’arte. 

L’intero castello è stato arredato con mobili d’epoca del 1600 fino al 1800, periodo risorgimentale. Esso non è più abitato da cinquant’anni ma è tutt’oggi agibile: vi sono le stanze da letto, la cucina, i bagni, l’acqua corrente e i caminetti. Tra i mobili più antichi è molto particolare un letto spagnolo del 1600: un letto a baldacchino di piccole dimensioni, come si usava allora; noi lo definiremo ad una piazza e mezzo. I letti a baldacchino di solito suscitano interesse, piacere a guardarli, e forse qualcuno si sarà chiesto: perché il baldacchino? “I letti avevano il baldacchino perché allora i vetri delle finestre erano rari, d’inverno c’era freddo, ed il baldacchino con le sue pesanti cortine aiutava a ripararsi dagli spifferi e dalla correnti. Inoltre le camere erano collocate una di seguito all’altra, non si usavano ancora i corridoi, perciò il baldacchino consentiva di mantenere un minimo di privacy nei continui attraversamenti della stanza da parte degli occupanti delle camere adiacenti”. Chissà, ci si domanda mentre si visita il castello, chi avrà vissuto nella stanza ora arredata con il letto a baldacchino… 

“Era la stanza, così racconta la leggenda, di una principessa, chiamata Preziosa di Sanluri. Era la figlia del feudatario di Sanluri, un certo De Sena, il quale aveva appoggiato la rivolta dell’Alagon (l’ultimo moto di libertà sarda per riprendere il potere agli spagnoli). La figlia, Preziosa, era stata obbligata a sposarsi con una persona che non amava, in quanto innamorata di un altro uomo: il comandante delle guardie. Poiché si era rifiutata di sposarsi era stata condannata a morte: ad essere gettata sotto dalla scogliera di S.Elia di Cagliari. Ma la leggenda racconta che il comandante delle guardie, suo innamorato, riesce con alcuni pescatori a recuperare il corpo non appena cade in acqua, e quindi a salvarla. Una vera e propria storia d’amore romanzata che ha come protagonista, l’ultima principessa del castello di Sanluri”. Un’altra donna, in tempi più remoti abitò nel borgo del castello e fece parlare di se, un’eroina, che nel suo piccolo influenzò il corso della storia: la Bella di Sanluri. “La Bella di Sanluri, di cui si ignora il nome, era la più avvenente tra le ragazze del borgo. Era una delle tante donne sarde che dopo la sconfitta della Battaglia di Sanluri furono fatte schiave dagli Aragonesi. Martino il giovane, figlio del re di Aragona Martino il Vecchio, anziché inviarla in Spagna con le altre prigioniere la volle per sé.
 
La storia racconta che questa ragazza desiderosa di vendicare i lutti che il re aveva arrecato alla popolazione e alla sua famiglia, avendo come arma solo il proprio corpo decise di usare quello contro il figlio del re. Infatti si congiunse al re con numerosi e sfibranti rapporti tanto che quest’uomo in venti giorni muore sfinito. Tuttavia non dobbiamo tralasciare che Martino il Giovane aveva contratto la febbre malarica, quindi era già debilitato nel fisico. La Bella di Sanluri aveva probabilmente contribuito a renderlo più debole fino alla morte. E proprio in questo castello, nella stanza più in fondo che scherzosamente chiamiamo la stanza “a luci rosse”, si sono svolti questi fatti”. Oggi il castello di Sanluri, ospita un terzo museo: il museo delle ceroplastiche. “In Italia si sa c’è tanta arte: la scultura, la pittura, l’architettura, notoriamente definite arti maggiori, cui fanno seguito le altre, ugualmente nobili e belle, come la porcellana, l’oreficeria, il ferro battuto, le stoffe, le cere, ma che purtroppo sono considerate arte minori, e in quanto tali poco conosciute. La mia famiglia ebbe la fortuna di acquisire una collezione di ceroplastiche. Sono 343 pezzi di grande pregio, dal rinascimento fiorentino fino ai primi dell’800. 

Questa collezione è una delle più importanti d’Europa. La cera a tutt’oggi con la sua grana finissima è il materiale che riproduce meglio l’incarnato. I ritrattino in cera, non sono semplicemente dipinti in superficie, ma sono resi indelebili e non sbiadiscono, perché il pigmento è fuso nella materia. I colori sono veri, naturali e uguali a come erano stati realizzati centinaia di anni fa. A quel tempo era usuale tra le famiglie che combinavano il matrimonio, scambiarsi i ritrattino in cera prima dello stesso, per evitare di sposarsi senza neanche conoscere l’aspetto del futuro consorte. Le cere furono utilizzate anche come materiale per i bozzetti. Nel museo sono esposti bozzetti di opere future anche importanti. 

Abbiamo quello originario di una delle Naiadi, le divinità marine che circondavano la Fontana del Nettuno di Firenze (quella che di recente è stata sfregiata). Il bozzetto era stato realizzato dall’Ammannati, architetto e artista della famiglia Medici. Il corpo centrale della fontana è opera del Ammannati mentre per le Naiadi laterali fu preferito il Giambologna. Noi abbiamo il bozzetto del Ammannati che fu scartato dalla realizzazione. Atri pezzi sono puramente artistici, come i tableau: rappresentazioni con più soggetti con uno sfondo tipo quinta teatrale. Infine una copiosa collezione di Agnus Dei, 97 pezzi circa. Pensate che in una stanza del castello è conservato un Agnus Dei antichissimo, del 1581, di Papa Clemente VII”.
Un castello ricco di storia, arte, ed importanti testimonianze. Particolarmente interessante è un epistolario di D’Annunzio: le lettere che il poeta-patriota durante una guerra inviava all’amico generale Nino Villa Santa. 

“D’Annunzio aveva partecipato attivamente alle fasi prebelliche del conflitto mondiale e al conflitto stesso in quanto fervente interventista. Fu il vate che doveva arringare le folle, dar vita ai comizi in favore della guerra. L’epistolario è stato ricostruito di recente. È un quadro storico del periodo, e testimonia l’amore che lui provava per la Sardegna e per i sardi. Considerava i sardi come esempio di “superomismo”. Elogiava i ragazzi della Brigata Sassari per il fervore, il furore e l’aggressività con cui si lanciavano in guerra. Lo lasciava attonito il coraggio con cui combattevano, spesso con la “Pattadese” in tasca e senza alcuna paura di morire. Ci sono delle pagine che parlano di questi ragazzi e descrivono il loro eroismo. Altre lettere contengono aggiornamenti su operazioni belliche ancora segrete, annuncia il discorso fatto a Fiume, l’impresa del volo su Vienna… È molto interessante perché in queste lettere anticipa ciò che poi fece davvero”. Quanti secoli di storia, quante vicende umane hanno varcato la soglia di questo castello! E chissà quanti misteri ancora racchiusi dentro le sue mura! Passati segreti, vivaci spiritelli che si aggirano da una stanza all’altra…