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Sardegna

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Vivere la campagna

Tuili, ecco come il turismo è diventato una fonte di reddito

Tuili

lunedì 10 ottobre 2011 - LA NUOVA SARDEGNA

Trent’anni fa l’obiettivo era dirottare in paese una parte dei visitatori della Reggia nuragica di Barumini. Oggi quel sogno si può dire perfettamente realizzato, grazie anche ai tesori artistici locali.

TUILI. Quando è scoccata la scintilla dello sviluppo turistico era l’inverno del 1971, giusto quarant’anni fa. Tempi difficili: di turismo vero e proprio in Marmilla - ma si potrebbe dire in tutta la Sardegna interna - non si parlava ancora. I soci fondatori della Pro loco avevano un obiettivo molto più circoscritto: dirottare a Tuili una parte dei visitatori della vicinissima reggia nuragica di Barùmini, dissepolta da Giovanni Lilliu all’inizio degli anni Cinquanta.
«Eravamo dei pionieri, in un certo senso», dice Renzo Zonca, uno dei superstiti della prima ora e oggi di nuovo alla guida dell’associazione turistica istituzionale. «Nei primi anni non avevamo le idee tanto chiare, ma Barumini per noi era già un punto di riferimento importantissimo anche se allora il discorso sul turismo era agli albori. In più, noi aspiravamo a movimentare l’inverno».
- Sarebbe, in concreto?
«Pensavamo a diversificare le date del Carnevale».
- Come?
«Volevamo valorizzare il sabato, nelle due settimane carnevalesche: nel primo con un ballo in maschera, nel secondo con un festival della musica tuilese. Per il resto, ci bastava spostare il venti per cento degli appassionati di archeologia preistorica: oggi possiamo dire che ci siamo riusciti».
- Il professor Lilliu in più occasioni ha parlato della festa di Sant’Antonio Abate a Tuili come di un appuntamento obbligato per i baruminesi.
«Ha perfettamente ragione. Ancora oggi per Sant’Antonio i baruminesi non lavorano proprio, come se fosse la loro sagra principale».
- Nei primi anni Pro Loco e Comune andavano d’amore e d’accordo?
«Sì, siamo partiti insieme, poi abbiamo anche avuto periodi di scontri ma il rapporto fra noi, complessivamente, è andato avanti abbastanza bene. Non ci sono stati grandi dissidi. I soci fondatori? Eravamo 10, poi ci siamo mantenuti sulla cinquantina, fino ai primi anni Novanta. Oggi siamo circa 120: più del dieci per cento della popolazione, non mi sembra poco».
- Che cosa organizzavate?
«Inizialmente, a parte il Carnevale, ci siamo dati da fare nella promozione turistica, mettendo i cartelli per la Giara».
- Garantivate già da allora le visite sull’altopiano?
«A metà degli anni Settanta era stata aperta una strada da Tuili alla Giara. Abbiamo lavorato molto sulla sensibilizzazione alla pulizia dell’altopiano, andavamo anche a pulire perché non tutti i visitatori riportavano indietro i sacchetti».
- La vostra parte di Giara non è tutta pubblica?
«Dei 450 ettari di Tuili sulla Giara, 250 sono di proprietà privata: il Comune ne ha soltanto 200, mentre gli altri paesi sono padroni dell’intera superficie assegnata a ciascuno. A Tuili anche fuori della Giara la terra appartiene ai privati. Il Comune, da sempre, ha solo le aie».
- La Giara come richiamo turistica funziona?
«Sì, funziona assai bene. So da chi ci opera che c’è un buon afflusso di persone. Ma ancora non ci sono punti di ristoro, finalmente ne stanno ultimando uno».
- Carnevale, Sant’Antonio. E le altre feste?
«La festa di Sant’Antonio Abate è rimasta al comitato, e forse è meglio così. Ma per l’aspetto folcloristico (la processione soprattutto) da molti anni ce ne occupiamo noi. Anche la processione inizia a costare, i gruppi folk hanno un prezzo, quest’anno ce n’erano cinque, tre a carico della Provincia e due a carico nostro. Per le altre festività il discorso è diverso».
- Diverso come?
«Domina Sant’Antonio, tre giorni di festa. L’inizio è strano: se lei viene di mattina il 28 giugno non c’è niente, la festa inizia solo con la processione. Le altre ricorrenze religiose si sono un po’ perse, compresa quella del patrono, San Pietro».
- Ma la data canonica del santo eremita è il 17 gennaio.
«Sì, ne parla Vittorio Angius nel dizionario del Casalis: dice che si faceva anche d’inverno, ma più in piccolo. Noi per Carnevale abbiamo organizzato le cose in modo diverso, con appuntamenti molto sentiti anche dai paesi vicini tanto da far sembrare piccola anche la palestra comunale».
- Tuili ha anche altri beni culturali: la chiesa con il retablo famoso, i due musei dell’olio e degli strumenti musicali...
«La chiesa non sempre è aperta: se il parroco è assente non si entra. La fruibilità è da migliorare. Con la Casa Asquer e i suoi due musei il Comune ha problemi finanziari per gestirla. Noi diamo una mano, accompagnando i turisti. Molta gente viene anche a visitare il nostro centro storico. Ci sarebbe la chiesa di Sant’Antonio, ma è aperta solo una volta la settimana per accontentare gli abitanti della parte bassa del paese e naturalmente nel periodo della festa».
- Un bilancio sintentico dei primi quarant’anni?
«Siamo soddisfatti, anche se ci rendiamo conto che si sarebbe potuto fare di meglio. Aver fatto conoscere la Giara già da allora organizzando la Pasquetta sull’altopiano con l’Ente provinciale del turismo è un altro mostro vanto. Oggi dalla Marmilla viene ancora tantissima gente. Il futuro? Nel medio periodo ci ripromettiamo di raddoppiare i quattordicimila visitatori attuali della Giara».
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