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Sardegna

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Vivere la campagna

La crisi vera è la crisi d'idee

Presidente Fulvio Tocco

martedì 4 giugno 2013 - COMUNICATO STAMPA

“Non pretendiamo che le cose cambino, se agiamo sempre allo stesso modo"
Il problema della politica e delle istituzioni è la pigrizia nel trovare vie d’uscita e soluzioni utili alla ripresa dell’economia regionale in un epoca ricca d’ingiustizie e di disuguaglianze
In un’isola di distratti, anche i progetti collettivi validi e di semplice attuazione vanno a farsi benedire. Perché?
La vocazione all’immobilismo è una delle cause che affliggono l’esistenza dei sardi contemporanei. Possibile che in un periodo di crisi come questo, le forze politiche e le istituzioni, in attesa di tempi migliori, non si pronuncino sulla necessità di riconsiderare le potenzialità insite nel settore primario per creare ricchezza e lavoro nella nostra terra? Possibile che non si consideri la necessità famelica di coltivare il territorio e di sviluppare le attività di trasformazione delle derrate, sulla scia delle grandi esperienze maturate nei comparti del lattiero caseario e del vitivinicolo che i grandi mercati ci invidiano? Comparti, che oltre alla valorizzazione della materia prima, producono lavoro e buste paga.
Abbiamo la fortuna di vivere in un’isola dove le derrate prodotte in campo aperto hanno le caratteristiche dei prodotti classificati biologici, eppure non si punta con decisione alla valorizzazione di questo specifico requisito di qualità. Per dirla con le parole di Einstein: “Non pretendiamo che le cose cambino, se agiamo sempre allo stesso modo.” Lenti, inefficienti e senza spirito d’innovazione.
Si sa che in Sardegna per coltivare un ettaro di frumento si utilizza un quinto di concimi azotati delle aree più umide d’Europa? Che i derivati di conseguenza sono più naturali che altrove? I destini futuri della Sardegna dipendono dal cibo che sapremo produrre sia per gli umani che per gli animali. L’industria può rinascere dalle materie prime che sapremo generare valorizzando la forza produttiva dei territori. Eppure, neanche il bel progetto per la coltivazione del mandorlo che hanno proposto i Comuni della Marmilla viene considerato con l’attenzione che meriterebbe, per i benefici conseguenti: rende le colline coltivate, abbellisce il paesaggio e fornisce la materia prima per l’industria dolciaria, che è quasi del tutto dipendente dai mercati esteri. Ciò nonostante, il progetto mandorlo non decolla e non si pretende che decolli, questo è il problema.
Anche per le piccole cose passano anni, gli amministratori transitano e quando si perde la giusta tensione anche i programmi validi perdono di significato. La Sardegna ha bisogno di progetti a ritorno immediato sugli investimenti, e la pubblica amministrazione deve guardare ad essi con un’attenzione straordinaria. Anche i grandi sindacati Cgil, Cisl e Uil, ci piace dirlo, la pensano in questo modo. Possibile che nel bilancio della Regione sarda non si trovino annualmente trenta milioni di euro per rendere coltivata la Sardegna e per incentivare la realizzazione di piccoli opifici per intensificare le attività di trasformazione? Di piccole attività che producano nuovi posti di lavoro? Basterebbe applicare diffusamente i parametri del de minimis primario per la parte agricola e del de minimis originario per la parte opifici, per poter avere i primi risultati nel campo agricolo nell’arco di un solo anno e, per la realizzazione degli opifici, nell’arco di quattro anni.
Ma nella scaletta delle priorità delle forze politiche, purtroppo questa visione tarda ad affermarsi, disconoscendo che Madre Natura ci ha dotato di straordinarie risorse naturali.
Fulvio Tocco