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Sardegna

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Vivere la campagna

Largo ai giovani in agricoltura per uscire dalla crisi

agricoltura

venerdì 21 settembre 2012 - LA NUOVA SARDEGNA

A Cagliari forum della Coldiretti sul cambio generazionale: «Va incentivato per sfuggire all’incubo di un’isola-deserto»

CAGLIARI Più giovani in agricoltura. Nei campi, il cambio generazionale è indispensabile per uscire dalla crisi e restituire un futuro a «gran parte della Sardegna che rischia lo spopolamento». Intorno a questa strategia, la Coldiretti Sardegna ha celebrato la consegna degli «Oscar 2012», i premi per le eccellenze nelle idee e nelle produzioni.. Sarà stata l’abilità della giuria nelle scelte, sta di fatto che ieri, nel salone della Camera di commercio, a ritirare la targa sono stati soprattutto giovani imprenditori. Il che vuol dire: gli agricoltori non sono solo un popolo di vecchi e questo va bene. Ma non basta, il passaggio di testimone , ha detto il direttore di Coldiretti, Luca Saba, è ancora troppo lento e a rallentarlo è anche «una burocrazia capace di ricacciare indietro chiunque». È vero, lo scontro è titanico, con rinunce obbligate che poi sfociano nel peggiore dei mali per le campagne: l’abbandono. «È un fenomeno triste e pericoloso – ha detto Pietro Luciano, docente del dipartimento di Agraria dell’ateneo sassarese – che l’Europa deve aiutarci a contrastare». Il ritorno all’agricoltura, a quell’agricoltura che sa fare impresa, va dunque incentivato da Bruxelles, con «politiche comunitarie focalizzate negli interventi soprattutto sulle nuove aziende gestite dai giovani». È una scommessa su cui anche il sindacato punta, ha detto Giovanni Matta, segretario regionale della Cisl: «Con amarezza oggi dobbiamo dire che la Sardegna è ritornata a essere quella prima del Piano di Rinascita, cioè in crisi d’identità, stavolta anche economica. Le industrie – ha proseguito – non hanno attecchito e oggi paghiamo le conseguenze sociali di quell’innesto che è stato frettoloso. A questo punto, noi sardi abbiamo due doveri: difendere l’esistente, inteso come posti di lavoro, ma anche pensare in fretta ad altri modelli di sviluppo». Fra questi, c’è proprio il ritorno all’agricoltura, che detto così potrebbe sembrare persino un paradosso: cosa c’è di più antico della semina dei campi? Nulla. Dunque, è sulla tradizione che la Sardegna deve insistere per «ritagliarsi un suo spazio economico in questo mondo attanagliato dalla crisi». Bisogna puntare su un nuovo innesto, ha insistito il segretario della Cisl, nel ricordare che «altrove è ripresa l’esaltante corsa alla terra, mentre da noi continua la fuga dai campi». Serve una sterzata, ma deve cambiare anche la mentalità di «noi sardi», ha sottolineato Francesco Nuvoli, ordinario di estimo rurale a Sassari: «Da noi manca la virtù dell’emulazione, non riusciamo a far sistema, a condividere progetti e benefici. Col risultato che siamo sempre più schiacciati dalle importazioni: il 60 per cento di quello che consumiamo a tavola arriva ancora da Oltremare. Ed è un’assurdità per la Sardegna, che non sa essere o non vuole essere quell’isola felice e di eccellenze invidiataci da molti». Giusto, però per credere subito nell’agricoltura del domani bisogna saper fare impresa, ma «è difficile – ha detto Giuseppe Deiana, giornalista economico delll’Unione Sarda – in un’isola da sempre incapace di risolvere il suo nodo più antico, i trasporti». (ua)