Logo della Provincia del Medio Campidano

Sardegna

Salta la barra di navigazione e vai ai contenuti

Vivere la campagna

Fave e favate, da piatto della fame all'opulenza del giovedì grasso

fave

venerdì 10 febbraio 2012 - L'UNIONE SARDA

E a Cagliari diventano perfino “pisci a collettu”, il pesce dei poveri

Oggi è un piatto ricco, grasso, ipercalorico, abbondante. Con una speciale caratteristica fisica : se non la si prepara per tanti commensali e di buona forchetta, non sa di nulla. Eppure una volta era il piatto della fame, della povera gente. Fave e lardo o fave e ossa salate per insaporire un po' di più la minestra altro non sono che gli antenati della favata , il trionfo di carne di maiale, cotenna, salsiccia, cavoli, finocchi e finocchietti selvatici e naturalmente fave e lardo con il quale si onora in tutta l'Isola il 16 giovedì grasso gioba lardajolu . Tanti più ingredienti si potevano utilizzare per arricchirla tanto più si era benestanti. E la differenza la faceva naturalmente il maiale. Chi lo aveva era sicuro di poter festeggiare con un gran piatto. Perciò insieme a verdure e fave nella grande pentola bollivano anche il piede, l'orecchio, le coste del maiale, accuratamente conservati sotto sale per l'occasione. Chi questo ben di Dio lo poteva solo sognare si accontentava di su piadigu . Scrive l'Angius Casalis a proposito di Pattada « Il popolo nutresi di pane d'orzo.... legumi e nell'inverno fave con lardo, minestra (su piadigu) che i pastori porcari continuano per antica consuetudine nella stessa Quaresima, credendo che il lardo non sia carne ».
FAVE DI BUON COTTO La fortuna della favata è legata alla consuetudine. Non esiste una ricetta codificata. Di certo occorrono fave di buon cotto , cioè che danno un buon rendimento in cottura: non si sfanno, né restano troppo dure. Per evitare sorprese val la pena di fare un piccolo test e cuocerne una porzione qualche giorno prima per verificarne la bontà. Per fare una favata la procedura è lunga ma semplice. Le fave secche si mettono in ammollo almeno per una notte in acqua tiepida così da renderle più morbide. Il successo del piatto è nei diversi tempi di cottura di ciascun ingrediente. Seguire un ordine è indispensabile. Si comincia dalle ossa. Coste, piede, orecchio e cotenna accuratamente lavati dal sale sono i primi, insieme alla salsiccia, a finire nella pentola con abbondante acqua. Dopo una buona mezz'ora di cottura si aggiungono le fave e i finocchietti selvatici. Quando le fave sono quasi cotte (il tempo varia tra l'ora e l'ora e mezza) si aggiungono i cipollotti e i finocchi dolci, la pancetta, pezzi di polpa di carne di maiale e si continua a far sobbollire, rimestando di tanto in tanto. Lo sprint lo dà un battuto (fine fine) di lardo, pomodoro secco, aglio, prezzemolo e peperoncino. Sul sale siate prudenti: gli ingredienti che erano sotto sale un po' lo mantengono. Quando carne e verdure saranno quasi cotte si aggiunge il cavolo verza e un cucchiaio di olio extravergine di oliva. A Bonorva si aggiunge anche il pane zichi, il pane tipico del paese che ha la funzione di raccogliere il brodo.
Rabelais non avrebbe saputo fare di meglio. C'è qualcosa di opulento e pantagruelico nella favata, il piatto più grasso che si potesse avere.
PISCI A COLLETTU Per tutto il Medioevo e fino al secolo scorso, le fave secche cotte in svariati modi hanno costituito la principale base proteica alimentare di molte popolazioni dell'Italia del Sud. Ancora oggi le fave secche sono un alimento importante nella dieta delle popolazioni del Nord Africa. Ed è la bobba carlofortina a confermarci lo stretto legame. Se c'è una cucina che ha ben sposato piatti liguri con quelli tabarkini è proprio quella dell'isola di San Pietro. La bobba è una minestra fatta con le fave secche decorticate e alla fine profumata con il basilico. Sorella di su succu e faa campidanese, crema di fave secche che dalle cucine di casa è approdata su menu stilati da rinomati chef. Il piatto cagliaritano di fave ha invece un nome che evoca il mare pisci a collettu . In realtà fave secche lessate e condite con aglio, un rametto di menta, olio e pepe. Tanta originalità nel nome è probabilmente figlia della fame: le fave erano l'unico pesce che i poveri si potessero permettere. Il segno nero che il legume secco ha sulla buccia la fantasia popolare lo ha rassomigliato a un colletto: ecco allora il pesce per di più elegante. Che cosa non fa vedere la pancia vuota.
di Caterina Pinna