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Sardegna

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Vivere la campagna

Quaderni natura "La Giara"

Quaderno natura n. 3 "La Giara"
dicembre 2007 -

 

Appunti sul Medio Campidano

“Sono fortunati coloro che hanno imparato a vedere, fra le cose selvagge della natura, qualcosa da amare, qualcosa di cui meravigliarsi…”(Hugh B. Cott, 1940)

La crescente consapevolezza dell’importanza della conservazione della natura ha generato nuove curiosità, in particolar modo in età scolare. Dall’esigenza di fornire nuovi strumenti e informazioni aggiornate e accessibili nasce il progetto “Appunti sul territorio”. Infatti, le azioni di sensibilizzazione ed educazione ambientale sono finalità primarie nelle strategie, a differenti scale, di conservazione della natura.
Il progetto “Appunti sul territorio” della Provincia del Medio Campidano si prefigge di contribuire alla conoscenza degli habitat più importanti utilizzando le specie carismatiche per far comprendere l’importanza della conservazione della Biodiversità.

L’Assessore all’Ambiente
della Provincia del Medio Campidano

Giuseppe De Fanti

Questa pubblicazione rientra quale supporto didattico all’interno dei programmi di Educazione Ambientale del Nodo Provinciale IN.F.E.A. del Medio Campidano.

L’origine delle giare
In Sardegna, il termine giara o jara è il nome che viene dato agli altopiani basaltici della zona centro occidentale dell’isola. Lo stesso vocabolo viene utilizzato in molti altri paesi del bacino del Mediterraneo: in Libia e in molte regioni della Spagna (da dove derivano anche nomi messicani). Ma anche in Somalia e Kenia la stessa parola indica strutture geologiche similari. L’etimologia della parola sembra essere di origine latina, da glarea, ghiaia, ad indicare il caratteristico aspetto di pietraia della pianura sommitale delle giare. La giara per antonomasia in Sardegna è la Giara di Gesturi, chiamata anche semplicemente Sa jara. È quella di maggiori dimensioni: nelle sue vicinanze si trovano la Giara di Serri, la Giara di Siddi, o Pranu Siddi.
Sa Jara ha un’estensione di circa 44 km2 ed un’altitudine media di circa 560m; è quasi totalmente pianeggiante, con due unici rilievi a Monte Zepparedda (609 m) e Zeppara Manna (580 m). Essi corrispondono alle zone di emissione delle lave basaltiche che ricoprono interamente la zona sommitale, con uno spessore medio di circa 30 m. I basalti sono impostati sul basamento di sedimenti marnosi del Miocene, risalenti a circa 20-25 milioni d’anni fa. Lungo le pendici della Giara fenomeni franosi hanno formato ripide gole, chiamate Scalas, dove si concentrano i punti d’accesso all’altopiano.

La Giara di Gesturi
Le più antiche testimonianze della presenza umana sulla Giara sono le Domus de Janas, sepolture in grotticelle scavate nel periodo neolitico nelle rocce calcaree sottostanti alla colata basaltica. Ma, se di quel periodo mancano testimonianze più ampie di vita materiale, l’epoca nuragica è ben documentata e risulta essere probabilmente il periodo più florido per l’altopiano. Sulle pendici e lungo il bordo della Giara sono
distribuiti almeno venti nuraghi, ma si trovano anche villaggi di capanne,sepolture a corridoio dolmeniche e un pozzo sacro. La distribuzione di nuraghi fa pensare ad insediamenti finalizzati a controllare tutti gli accessi all’altopiano e in particolare le scalas, gli stretti e ripidi valloni che solcano i fianchi della Giara. Molte delle aree nuragiche mostrano una frequentazione posteriore, come il villaggio di Brunku Suergiu. Il monumento d’epoca nuragica più importante è senza dubbio il complesso di Brunku Màdugui: esso è costituito da un protonuraghe e dal villaggio di capanne circostante. Il proto nuraghe risale alla prima fase del periodo nuragico tra il 1800 e il 1500 a.C. e consiste in un’ampia cinta muraria che racchiude corridoi e due ambienti a pianta circolare che a loro volta si elevano dal terrapieno che ricopre tutto l’edificio. Il protonuraghe di Brunku Màdugui è il più vasto di tutta l’isola con una lunghezza di 27 m e una larghezza di 16. La cinta muraria in origine era alta 6 m. Gli altri monumenti nuragici hanno le strutture convenzionali dei nuraghi a torre.

La flora
La flora della Giara è composta da circa 350 piante, con una componente endemica non elevata.
Tra le piante endemiche va ricordato il ranuncolo di Revelier (Ranunculus revelieri): oltre che in Sardegna vegeta in Corsica sudorientale e nella Francia meridionale. È una delle specie tipiche dei pauli, assieme ad altri ranuncoli, come Ranunculus aquatilis, Baldellia ranunculoides e il rarissimo Ranunculus ololeucos.
La morisia (Morisia monantha) è un altro endemismo sardo-corso che predilige zone assolate e umide ed è indifferente al tipo di substrato: i fiori gialli spuntano da una tipica rosetta di foglie e giunti a maturità si interrano per proteggere il frutto. Altre piante endemiche di larga diffusione in Sardegna sono il giglio stella, la ginestra di Corsica, lo zafferanetto, lo zafferano di Requien, il gigaro sardo, la betonica spinosa e l’erba gatta. In primavera, il colore che domina il paesaggio della Giara, oltre al verde, è il bianco: bianchi sono i ranuncoli che invadono i pauli allagati, bianche sono le margheritine che ricoprono i pratelli e bianco è l’asfodelo che caratterizza tutte le radure e i chiari del bosco.

La vegetazione
Il 46% della superficie della Giara è ricoperto da boschi, con prevalenza di formazioni a sughera.
Le sugherete della Giara sono il risultato di un’incessante attività dell’uomo.Tra il 1880 e il 1920, come in molte altre parti della Sardegna, si ebbe un taglio di piante generalizzato e una seconda ondata di tagli fu effettuata durante la Seconda Guerra Mondiale. La ricrescita del bosco da allora è stata rallentata dalla scarsa consistenza del suolo e dall’eccessivo pascolamento operato dalle capre.Così, le sughere della Giara si presentano con un diametro medio intorno a 20 cm e spoglie lungo il tronco a causa dell’azione delle capre che si arrampicano anche sui tronchi contorti. Il sottobosco viene ripulito ogni 9-11 anni, quando avviene l’estrazione del sughero, ma una pulitura avviene anche ogni 2-3 anni per favorire il pascolo intensivo. La sughereta è l’ambiente prediletto dai cavallini nel periodo estivo per sfuggire alla calura

I cavallini
C'è una ipotesi molto suggestiva sull’origine del cavallino della Giara. Era il miocene, 15, 20 milioni di anni fa, e nel bel mezzo del Mediterraneo pare esistesse una grandiosa terra emersa, la mitica Tirrenide, straordinario ponte che congiungeva le terre del Tirreno con quelle dell'Africa settentrionale. Un corridoio immenso che favorì grandi migrazioni faunistiche, compreso quindi anche il cavallo. Quando il mare sommerse Tirrenide e fece della Sardegna un'isola, gli animali che vi rimasero imprigionati si adattarono evolvendosi in specie particolari.
Non vi è certezza sulle origini dei cavallini della Giara, per alcuni importati dall’uomo, per altri residuo di una fauna antica.
La suggestione del mito non basta e la mancanza di riscontri fa propendere per altre ipotesi più realistiche. Così probabilmente il cavallo nell'isola arrivò “solamente” poco meno di tremila anni fa al seguito dei fenici.
Comunque quei primi equini diedero origine alle numerose bande di cavalli selvatici, presenti sino all'Ottocento in diverse zone dell'isola. La statura ridotta e la forte rusticità erano le loro principali caratteristiche. In seguito, l'uomo li riportò sotto il suo dominio e gli inevitabili incroci con altri cavalli decretarono la scomparsa di quelle peculiarietà. Ovunque, meno che sulla Giara. Qui, l'isolamento in quest’isola nell'isola, consentì la conservazione delle caratteristiche più note del cavallino.Un metro e venti al garrese nei maschi più grossi, testa massiccia con collo forte e robusto, criniera e coda lunghe e folte, inconfondibili e malinconici occhi a mandorla.
Alcuni erano talmente piccoli da non superare le dimensioni dell'asino sardo: gli anziani più vecchi nei paesi vicini ricordano ancora “sa musca pia”, così li chiamavano. Certamente i cavallini sono una delle presenze faunistiche più importanti e di richiamo della fauna della Sardegna e hanno contribuito in maniera determinante a far conoscere a livello internazionale l'affascinante mondo della Giara.
Nonostante il controllo operato dall’uomo i cavallini della Giara sono una delle pochissime popolazioni di cavalli selvatici del continente europeo.
Nonostante lo status di selvatico, i cavallini della Giara erano di proprietà privata (le cui origini si perdono nel tempo). Sino alla metà del Novecento venivano catturati nel periodo estivo ed utilizzati nelle pianure del Campidano per la trebbiatura. Pratica poi caduta in disuso con l'arrivo della meccanizzazione. I proprietari, che comunque dovevano trarre qualche beneficio, portarono sull'altopiano grossi stalloni per favorire l'aumento della taglia dei cavallini da vendere ai macelli. Ne seguì un inevitabile inquinamento della specie. A partire dal 1974, l'allora Istituto Regionale di Incremento Ippico iniziò un programma specifico di recupero
dei soggetti con le migliori caratteristiche, che prevedeva anche l'allontanamento dalla Giara dei non selezionati. I cavalli, al termine di rocambolesche battute sull'altopiano, venivano portati a valle dove in appositi recinti, venivano catturati uno ad uno,monitorati e selezionati. La cattura era opera di allevatori locali che, armati di “sa soga”, il lazo locale, catturavano gli animali che correvano in circolo loro intorno, in un'atmosfera pittoresca e densa di sudore e di polvere. Gli animali ritenuti sufficientemente puri veniva marchiati con una G (Giara), gli altri con una R. Ai proprietari venivano assegnati degli indennizzi compensativi. Il rodeo continua a svolgersi con le metodologie tradizionali: tutto è uguale sino al momento cruciale,quando ai cavalli veniva inciso il marchio a fuoco. Oggi il microchip ha sostituito il ferro rovente, evita al cavallo inutili sofferenze e individua con precisione ogni nuovo puledro, per fa sì che continui la
favola dei cavallini dagli occhi a mandorla.
Oggi non viene più utilizzata la marchiatura con il ferro rovente, ma nei giovani cavallini viene iniettato un microchip.

La fauna
La varietà di biotopi, il bosco e la macchia, la prateria e i numerosi stagni temporanei giustificano, in un territorio di modeste dimensioni, una grande varietà faunistica che comprende ben 92 specie di vertebrati che si riproducono sull'altopiano. Delle numerose presenze ricordiamo nel bosco e nella macchia il cinghiale, la martora, la volpe, il topo quercino, una grande quantità di silvidi, il colombaccio, lo sparviero e l'astore; nelle steppose praterie vivono la pernice e la lepre sarda, il coniglio, l'allodola e la totavilla. La poiana e il gheppio sfruttano l'abbondanza delle diverse lucertole e delle serpi presenti (la campestre, la tirrenica,
l'algiroide, il gongilo, la luscengola, il biacco). Ma le presenze faunistiche più abbondanti e spettacolari si concentrano nei pauli durante la migrazione. Alle comuni gallinelle d'acqua e ai germani reali, si uniscono infatti diverse specie di anatre, di aironi, il falco di palude e anche, ma solo eccezionalmente, le cicogne e i fenicotteri.

Invertebrati arcaici
Nei pauli della Giara vivono due crostacei ancestrali: immutati da oltre 200 di anni, sono considerati gli animali più antichi del mondo.
I pauli, una delle particolarità della Giara, sono una trentina di depressioni riempite dall’acqua piovana che occupano una superficie di 63 ha. I due più grandi si chiamano entrambi Pauli Majori e altri 21 sono conosciuti con un nome. Il più profondo è Pauli Majori di Tuili che raggiunge 1,3 m al massimo. Mentre le temperature dell’acqua variano da 0° a oltre 30°, la salinità rimane costante con l’evaporazione.Oltre ad una flora particolare, i pauli ospitano una fauna invertebrata peculiare.
Sono soprattutto insetti, ostracodi, copepodi e ciclopidi. Ma la curiosità più interessante è la presenza di due
delle 4 specie italiane di notostraci: Lepidurus apus lubbocki e Triops cancriformis. Sono animali arcaici anche nell’aspetto, caratterizzato dal carapace a forma di scudo, lunghi al massimo 3-4 cm. Vivono sul fondo nelle zone rivierasche dei pauli, dove si cibano di vegetali acquatici, di detriti organici, ma sono anche predatori, riuscendo a catturare perfino i girini.

Osservare e rispettare
10 regole d’oro

  1. La biodiversità o diversità delle forme biologiche è patrimonio del pianeta e deve essere conservata in quanto tale.
  2. Il benessere umano e la qualità della vita sono obiettivi prioritari che non possono prescindere dal benessere dell’intero pianeta e dalla conservazione della biodiversità.
  3. La natura, della quale fa pienamente parte l’uomo, deve essere “tutelata” dalla sua azione, perché egli ha la capacità di danneggiare, alterare e distruggere l’ambiente, le sue risorse e i suoi equilibri, rendendolo più povero e inospitale per sé e per le altre specie di viventi.
  4. Rispetta l’ambiente, la gente che ci vive e i coltivi: non dimenticare che i sentieri spesso affiancano o attraversano proprietà private; ricordati di richiudere sempre i cancelli.
  5. Raccogli sempre i tuoi rifiuti, senza mai abbandonarli lungo il percorso, né tanto meno nasconderli o appendere sacchetti di plastica agli alberi.
  6. Evita rumori molesti e schiamazzi, soprattutto quando ti muovi in ambienti naturali dove la presenza dell’uomo è occasionale.
  7. Non accendere fuochi e segnala prontamente eventuali incendi.
  8. Evita di danneggiare le piante e non raccogliere mai la flora protetta; non raccogliere né danneggiare i funghi che non conosci e quelli velenosi.
  9. Se incontri animali selvatici, non molestarli e non dare loro cibo. Non soffermarti in prossimità di tane e nidi, non far volare gli uccelli in cova.
  10. Se incontri situazioni di degrado dell’ambiente o di minaccia a specie animali o vegetali, segnalale agli organismi competenti.