Logo della Provincia del Medio Campidano

Sardegna

Salta la barra di navigazione e vai ai contenuti

Vivere la campagna

Quaderni natura “La campagna”

Quaderni natura n. 2
dicembre 2007 -

 

Appunti sul Medio Campidano

“Sono fortunati coloro che hanno imparato a vedere, fra le cose selvagge della natura, qualcosa da amare, qualcosa di cui meravigliarsi…”(Hugh B. Cott, 1940)

La crescente consapevolezza dell’importanza della conservazione della natura ha generato nuove curiosità, in particolar modo in età scolare. Dall’esigenza di fornire nuovi strumenti e informazioni aggiornate e accessibili nasce il progetto “Appunti sul territorio”. Infatti, le azioni di sensibilizzazione ed educazione ambientale sono finalità primarie nelle strategie, a differenti scale, di conservazione della natura.
Il progetto “Appunti sul territorio” della Provincia del Medio Campidano si prefigge di contribuire alla conoscenza degli habitat più importanti utilizzando le specie carismatiche per far comprendere l’importanza della conservazione della Biodiversità.

L’Assessore all’Ambiente
della Provincia del Medio Campidano

Giuseppe De Fanti

Questa pubblicazione rientra quale supporto didattico all’interno dei programmi di Educazione Ambientale del Nodo Provinciale IN.F.E.A. del Medio Campidano.

 
Ambienti trasformati dall’uomo
L’Uomo ha occupato tutti gli ambienti della Terra, dai ghiacci dell’Artico alle savane dell’Africa, dai deserti dell’Asia centrale alle praterie del continente americano. Dovunque, dove ha trovato terreno fertile, ha sviluppato l’agricoltura e spesso lo ha fatto distruggendo gli habitat naturali per ricavare terreno adatto alle coltivazioni. In Sardegna, un tempo granaio dell’impero romano, le grandi pianure del Campidano sono terre agricole per eccellenza. Il paesaggio ha subito profonde trasformazioni, lasciando spazio alla vegetazione spontanea solo al limitare degli appezzamenti o nelle zone meno accessibili. La mano dell’uomo è evidente nel mosaico dei campi, nella regolarità delle linee così rara in natura. I filari ordinati degli olivi e degli alberi da frutto, l’innaturale parallelismo dei solchi nei campi arati formano una sorta di architettura del paesaggio che caratterizza fortemente le piane campi danesi e della Marmilla. Dove il terreno è lasciato al pascolo, è altrettanto evidente la profonda trasformazione dell’ambiente: gli erbai sostituiscono la vegetazione spontanea e gli effetti dell’erosione sono accelerati dalla mancanza di un tessuto naturale di radici che consolidi il terreno. Eppure anche in ambienti così profondamente mutati dall’opera dell’uomo vi sono piante endemiche e rare e specie animali di grande pregio.

Le coltivazioni
Nelle campagne del Medio Campidano tra i prodotti orticoli il più importante è il carciofo, destinato prevalentemente al consumo fresco. Anche l’asparago verde e il pomodoro hanno produzioni significative e quest’ultimo viene trasformato in importanti aziende conserviere a Serramanna e Villacidro. La produzione di cereali della Provincia è pari al 26% di quella regionale. La coltivazione dell’olivo è sviluppato soprattutto a Villacidro e Gonnosfanadiga ma in tutta la Provincia vi sono frantoi e aziende che producono olio e anche olive verdi in salamoia. La coltivazione di piante da frutto è anch’essa importante: si coltivano soprattutto agrumi, pesche e ciliege, in ordine di importanza. Recentemente è stata sviluppata anche la coltivazione
del mandorlo. Sono da ricordare produzioni tipiche della Provincia, come il melone asciutto della Marmilla e lo zafferano.
Nel Medio Campidano il 50% dell’intero territorio provinciale è sfruttato dall’agricoltura con produzioni frammentate e diversificate, tra le quali prevalgono quelle dei prodotti da orto e dei cereali.

Un prodotto d’eccellenza
Lo zafferano, dal quale si ricava l’omonima spezia, è una pianta importata, la cui origine sembra essere da ricercare sull’isola di Creta. È una iridacea bulbosa che ha il periodo vegetativo in primavera. La fioritura avviene tra ottobre e novembre, periodo in cui viene effettuato il raccolto.Il suo nome scientifico, Crocus sativus, deriva da una leggenda greca: il dio Hermes, il Mercurio dei latini,mentre si allenava al lancio del disco colpì per errore l’amico Crocos uccidendolo. Egli cadde sul fiore dello zafferano che il Dio, per ricordare l’amico, decise di tingere con il rosso del suo sangue.La coltivazione dello zafferano è completamente manuale, come la successiva lavorazione, nella quale si separano gli stimmi rossi. Gli stimmi vengono unti a mano con olio extravergine d’oliva e quindi essiccati. Lo zafferano vieneutilizzato per insaporire una grande varietà di pietanze, dalle mineste ai risotti, dalle verdure alle carni, dal polpo ai dolci più raffinati.
Per ottenere un chilo di zafferano ci vogliono centomila fiori! A Turri, San Gavino Monreale e Villanovafranca si coltiva il 60% della produzione nazionale e il 75% di quella regionale. La superficie coltivata è pari a 27 ettari.

Le piante spontanee
Le coltivazioni del Medio Campidano hanno quasi interamente sostituito la vegetazione spontanea che era costituita prevalentemente dalla macchia mediterranea, ricca di colori, profumi, sapori e suoni. Le sue essenze, spesso aromatiche, sono le sclerofille sempreverdi, piante con foglie coriacee e talvolta spinose, che si elevano poco in altezza, ma formano un insieme intricato e spinoso, a macchia appunto.La macchia mediterranea è frutto della varietà del clima che nelle diverse epoche geologiche ha alternato fasi calde e umide ad altre aride e secche, fino a quelle gelide del Quaternario. A partire da 600.000 anni fa, si sono succedute quattro grandi glaciazioni, con le rispettive interglaciazioni, l’ultima delle quali è quella che stiamo vivendo. La macchia è un’associazione vegetale che si ritiene comprenda circa 20.000 specie ripartite in 171 famiglie e 1649 generi. Alcune specie molto antiche sono sopravvissute alle grandi glaciazioni, quali l’olivo, il mirto, il lentisco, le ginestre, il carrubo. Oggi della copertura primordiale rimangono solo brandelli modificati non solo nell’estensione, ma anche nella miscela delle specie,molto ridotta in varietà rispetto alla struttura originaria. Negli incolti crescono piante erbacee annuali che spesso con le loro fioriture formano straordinarie chiazze di colore: giallo, rosso, azzurro sono i colori della primavera.

Le piante endemiche
Nelle campagne del Medio Campidano, nonostante la profonda trasformazione operata dall’agricoltura, si possono rinvenire numerose piante endemiche, alcune esclusive della Sardegna.
Tra gli endemismi, spiccano due piccoli zafferani spontanei, molto meno appariscenti di quello coltivato per
ottenere la spezia omonima. Sono lo zaffera netto di Sardegna (Crocus minimus) e lo zafferanetto di Requien (Romulea requieni): a differenza dello zafferano coltivato, la loro fioritura avviene in primavera, ma inizia già durante l’inverno. Sono piante tipiche di pratelli incolti.
Molto più appariscente, sia durante la fioritura, sia quando mostra i frutti, è il gigaro sardo corso (Arum pictum), diffuso nelle radure dei boschi e della macchia, negli incolti e nelle vicinanze di ruderi. Fiorisce nel periodo autunnale e i frutti sono vistose bacche con colore che vira dal verde all’arancione. Negli incolti e lungo gli sterrati sono diffuse le orchidee selvatiche.

L’allevamento
Nel territorio provinciale sono quasi mille gli allevamenti di pecore e capre, con una netta prevalenza per le prime. Gli ovini allevati nel Medio Campidano sono circa il 9% degli allevamenti sardi. Dagli ovini vengono prodotti latte e formaggi di alta qualità.
È ben più rilevante a livello regionale l’allevamento dei suini che, con oltre 50.000 capi allevati, è pari al 21% di tutta la regione: essi sono concentrati per il 70% in un unico stabilimento nel territorio di San Gavino Monreale. Una nicchia importante è quella dell’apicoltura che produce miele di qualità (generalmente uniflorale): per la sua valorizzazione si sta prevedendo un marchio di denominazione di origine protetta. La produzione di miele della Provincia raggiunge il 10% di quella regionale, con oltre 50 aziende che allevano oltre 5000 alveari.
Nel Medio Campidano si allevano circa 280.000 pecore e 25.000 capre. Di minore entità l’allevamento dei bovini e dei suini.

La fauna selvatica
Anche la fauna selvatica nelle campagne risente della trasformazione dell’ambiente operata dall’uomo. La fauna selvatica delle campagne ha minore varietà rispetto agli ambienti naturali, ma molte specie continuano a occupare le loro nicchie ecologiche, mentre le più adattabili hanno tratto vantaggio dalla trasformazione degli habitat, come i corvidi, le allodole e gli storni.

Il coniglio selvatico e la lepre sarda
La non conoscenza delle differenze tra il coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus) e la lepre sarda (Lepus capensis) è una della situazioni che creano maggior disagio agli osservatori meno esperti della fauna sarda. Le maggiori dimensioni della lepre e la differente colorazione infatti non sono sufficiente per l'identificazione, nel frequente caso dell'avvistamento di uno solo dei due. L'esperienza però insegnerà presto a riconoscere i lunghi arti posteriori, le orecchie lunghe e appuntite e, ad una osservazione più attenta, il colore e la posizione degli occhi che distinguono nettamente la lepre sarda dal coniglio. La lepre predilige i grandi spazi aperti ed è attiva prevalentemente dal crepuscolo sino a notte fonda. Per riparo utilizza piccole depressioni del terreno, dove rimane accovacciata perfettamente immobile. Utilizza i covi più riparati per i parti (due all'anno con uno -due cuccioli per volta). I piccoli nascono perfettamente formati, ricoperti di pelo e con gli occhi aperti. Gli ambienti preferiti dal coniglio selvatico sono quelli di pianura e collinari, specie se ben cespugliati o ricoperti parzialmente dalla macchia. Costruisce delle gallerie molto articolate, provviste di ampie sale e con più uscite, dove vive in colonie formate da più famiglie. Esce all'aperto prevalentemente nelle ore notturne. Una femmina adulta può partorire sei -sette volte all'anno, con una media anche di dieci cuccioli per volta. I piccoli nascono ciechi e privi di pelo.

La pernice sarda
Bella, rustica e schiva insieme, la pernice (Alectoris barbara) ha colori sgargianti e vistosi, che culminano con il rosso vermiglio del becco e delle zampe; il dorso invece ripropone perfettamente il colore della polvere e le consente, in caso di pericolo, di sparire completamente alla vista schiacciandosi al suolo in un mimetismo perfetto.In Campidano era talmente numerosa che la sua carne non mancava mai dal piatto dei poveri. Il Cetti (1770)scrive che il campidanese le cacciava con una rete lunga e stretta,dove le indirizzava lentamente camuffandosi sotto un lenzuolo riuscendo a “darne entro pochi giorni anche cinquecento vive a chi ne lo incaricava”. L'abbondanza durò verosimilmente sino ai primi anni Cinquanta del secolo scorso, quando conobbe un rapido declino dovuto soprattutto al progressivo mutare delle condizioni ambientali e all'aumento dei cacciatori;ma la decimazione più fatale derivò dall'utilizzo della crusca avvelenata con l'arsenico per la lotta contro le cavallette, che periodicamente infestavano le campagne. Oggi è presente dove la caccia è esercitata in maniera oculata e localmente abbondante nelle aree protette. Qui, nella tarda primavera, si possono osservare famigliole di pernici percorrere i loro sentieri, con gli adulti che vigilano guardinghi gli irrequieti pulcini.

Il gheppio e la civetta
Le campagne aperte, ricche di insetti, piccoli rettili e micro mammiferi sono il territorio di caccia ideale per i rapaci diurni e notturni, di piccola taglia.
Il gheppio (Falco tinnunculus), conosciuto come tilibriu,oltre la campagna,frequenta assiduamente anche le periferie di paese, dove non disdegna di nidificare su torri, campanili o ruderi vari. E' un cacciatore molto efficiente e cattura le piccole prede sia facendo la posta dai suoi posatoi che,molto più spesso,facendo“lo spirito santo” particolare posizione che gli consente di stare immobile per aria, grazie ai movimenti sincronizzati della ali e della coda, sino a quando non avvista la preda su cui si cala dolcemente. Cuccumeu è invece il nome attribuito alla civetta (Athene noctua),certamente il più comune tra i rapaci notturni, facilmente riconoscibile per i grandi occhi gialli ed il capo arrotondato. Spesso e volentieri, specie nelle tiepide giornate invernali, la civetta si osserva anche nelle ore diurne pigramente appollaiata su rocce o cumuli di massi. E' parzialmente diurna anche durante l'allevamento dei pulcini, quando è facile osservarla di giorno intenta a dar la caccia ai piccoli rettili.

Il gruccione
La presenza del gruccione non era sfuggita ai nuragici se è vero, come vuole una affascinante teoria, che il nome “maragau”, come qui lo chiamano, derivi dal nuragico “maragaddau” termine con il quale pare chiamassero il sacerdote che officiava nei pozzi sacri.
Quando la primavera è al culmine la campagna esplode in chiassosi colori in perfetta amalgama tra loro. L'ambiente sembra tutto un arcobaleno. E' proprio allora che arriva il gruccione (Merops apiaster), che dei colori dell'arcobaleno ha fatto il suo variopinto piumaggio. Viene dall'Africa lontana e si disperde nei campi, animandoli di voli e versi garruli. Il variopinto ospite appena arrivato trascorre le giornate in folte schiere che occupano le antiche colonie. Subito si formano le coppie, dopo le schermaglie di rito tra maschi, per la conquista delle femmine. E via con il corteggiamento, l'offerta di prede alla compagna, gli accoppiamenti, lo scavo o il restauro nel terreno friabile della profonda galleria che porta al nido. In seguito la femmina coverà e alleverà i pulcini, lasciando al maschio il compito di catturare le prede. Che sono insetti vari, con una predilezione spiccata per vespe,calabroni ed api (con qualche danno per gli apicoltori). La stagione sarda dei gruccioni ha termine a settembre quando, insieme ai grandi stormi provenienti dal nord dell'isola, raggiungono le coste meridionali prima del grande salto verso l'Africa,dove trascorreranno un nuovo inverno.

La tottavilla e la tortora selvatica
Una delle specie che più caratterizzano la lunga estate calda e secca della campagna, è certamente la tortora selvatica (Streptopelia turtur). Per quel periodo infatti ha già allevato i due pulcini della sua seconda covata e la famigliole, formate dai due adulti e dai quattro giovani, sfrecciano ininterrottamente nei grandi spazi aperti, spostandosi da una pastura all'altra. Eleganti e snelle, agili nel volo, sono una presenza ornamentale molto gradita. La tottavilla (Lullula arborea) è migratrice come la tortora, ma molte rimangono nelle piane del Medio Campidano per tutto l'anno. E' la più comune delle allodole. La chiamano accucadita, in altre parti incurbiaiola o prantaritta, termini tutti che mettono in evidenza la sua caratteristica di schiacciarsi al suolo in caso di allarme. Come tutte le allodole ha una voce melodiosa e gradevole; canta in volo, librandosi altissima letteralmente inebriata dalla sua stessa melodia. Nel periodo nuziale lo fa già prima dell'alba, accompagnando con armonia il sorgere del sole.

Le averle
Arrivano dall’Africa tropicale sul finire dell’inverno ed è facile osservarle posate su cespugli, pali di recinzione o punti sopraelevati da dove controllano lo spazio circostante.
L'averla piccola (Lanius collurio) e l'averla capirossa (Lanius senator) vengono in Sardegna per nidificare. I maschi sono quelli che hanno il piumaggio più vistoso, che ne rende facile l'identificazione. La piccola ha il dorso castano rossastro, il petto vagamente rosato e una banda nera orizzontale intorno all'occhio. La capirossa è caratterizzata da una una lunga fascia nera che dalla fronte le cinge il capo sino alle spalle, dal vivace color castano del capo, dalla lunga coda nera marginata di bianco. Osservandole, colpiscono subito il becco uncinato e le unghie molto sviluppate, caratteristiche che ne evidenziano l'indole predona. Solitarie e aggressive si gettano senza indugio sulle prede appena avvistate. Catturano prevalentemente grossi insetti, piccoli rettili,micro mammiferi e piccoli uccelli. Spesso predano i pulcini nei nidi incustoditi. Le prede vengono portate sui rami di piante spinose. Qui le infilzano, spesso ancora vive, creando le loro dispense. Lo fanno per avere scorte per i periodi di magra e, soprattutto, in previsione dell’insaziabile voracità dei loro pulcini.

Osservare e rispettare
10 regole d’oro

  1. La biodiversità o diversità delle forme biologiche è patrimonio del pianeta e deve essere conservata in quanto tale.
  2. Il benessere umano e la qualità della vita sono obiettivi prioritari che non possono prescindere dal benessere dell’intero pianeta e dalla conservazione della biodiversità.
  3. La natura, della quale fa pienamente parte l’uomo, deve essere “tutelata” dalla sua azione, perché egli ha la capacità di danneggiare, alterare e distruggere l’ambiente, le sue risorse e i suoi equilibri, rendendolo più povero e inospitale per sé e per le altre specie di viventi.
  4. Rispetta l’ambiente, la gente che ci vive e i coltivi: non dimenticare che i sentieri spesso affiancano o attraversano proprietà private; ricordati di richiudere sempre i cancelli.
  5. Raccogli sempre i tuoi rifiuti, senza mai abbandonarli lungo il percorso, né tanto meno nasconderli o appendere sacchetti di plastica agli alberi.
  6. Evita rumori molesti e schiamazzi, soprattutto quando ti muovi in ambienti naturali dove la presenza dell’uomo è occasionale.
  7. Non accendere fuochi e segnala prontamente eventuali incendi.
  8. Evita di danneggiare le piante e non raccogliere mai la flora protetta; non raccogliere né danneggiare i funghi che non conosci e quelli velenosi.
  9. Se incontri animali selvatici, non molestarli e non dare loro cibo. Non soffermarti in prossimità di tane e nidi, non far volare gli uccelli in cova.
  10. Se incontri situazioni di degrado dell’ambiente o di minaccia a specie animali o vegetali, segnalale agli organismi competenti.