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Sardegna

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Vivere la campagna

Darwin Quaderni

copertina Darwin Quaderni
n. 3/2007 - Editoriale Darwin S.r.l.

 

Roberto Sirigu

La memoria di Barumini nel palazzo del nuraghe.

Visita virtuale a Casa Zapata, la dimora seicentesca dei baroni spagnoli che oggi ospita un ricco polo museale sospeso su resti plurimillenari.

Il 29 luglio del 2006 è stato inaugurato a Barumini un nuovo spazio espositivo di eccezionale valore, il Polo Museale di Palazzo Zapata. Si tratta di una realtà museale a cui, senza tema di smentite, deve essere riconosciuto un elevato valore culturale. Il complesso è articolato in tre sezioni: archeologica, etnografica e archivistica. Avendo avuto l’onore e l’onere di contribuire su incarico dell’amministrazione comunale di Barumini alla sua realizzazione, progettando l’allestimento della sezione archeologica, proverò a descrivere ai lettori questa nuova entità espositiva soffermandomi in particolare su quelle peculiarità che la rendono assolutamente unica, non solo nel panorama museale isolano.
Prima di addentrarci nella realtà specifica di Palazzo Zapata, è d’obbligo proporre un chiarimento preliminare. Proviamo cioè a rispondere a questa domanda: che cos’è un museo? Questa precisazione è necessaria perché, nonostante si faccia un gran parlare di musei e di realtà museali (o forse proprio per questo), intorno al tema persiste una certa confusione concettuale che è opportuno tentare di fugare. Cerchiamo allora innanzitutto di comprendere che cosa significhi il nome “museo”. Questa parola evoca le Muse che nella mitologia greca erano le nove figlie di Zeus, signore degli dei, e di Mnemosine, dea della memoria. A loro, protettrici dei dotti e ispiratrici dei poeti, era intitolato il luogo che nel palazzo reale di Alessandria d’Egitto ospitava il più famoso cenacolo intellettuale dell’antichità. Il Mouseion, con la sua straordinaria biblioteca, l’osservatorio astronomico, il giardino botanico e zoologico, l’istituto astronomico, fu costruito al Tempo di Tolomeo I Soter (322-283 a.C.), su ispirazione di Demetrio Falereo, che era stato tiranno d’Atene ma soprattutto allievo del filosofo Aristotele. L’origine etimologica ci dice dunque che lo spazio fisico che designiamo con il termine “museo” intrattiene, sin dalle origini, un rapporto non occasionale ma costitutivo con la memoria. La stessa definizione di museo elaborata dall’ICOM (International Council of Museums), l’ente internazionale nato nel 1946 per promuovere il miglioramento dell’organizzazione e la valorizzazione dei musei, conferma l’attribuzione di un valore fondante al rapporto intercorrente tra qualunque realtà museale e la memoria: “il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico e che compie ricerche riguardanti le testimonianze materiali dell’uomo e del suo ambiente, le raccoglie, le conserva, le comunica e soprattutto le espone a fini di studio, educativi e di diletto. 


IL SEGNO DEL POTERE 
Il Polo Museale di Palazzo Zapata nasce nel pieno rispetto di questi parametri. Stando così le cose, possiamo allora porci un’altra domanda: quali testimonianze materiali dell’uomo e del suo ambiente intende raccogliere, conservare, comunicare e soprattutto esporre a fini di studio, educativi e di diletto questo spazio museale? Ebbene, occorre rilevare il fatto che Palazzo Zapata era già di per sé testimonianza materiale dell’uomo e del suo ambiente prima ancora che gli venisse attribuita la funzione di spazio museale, e quindi a prescindere dai materiali che sono stati esposti al suo interno. Questo edificio si propone dunque all’interesse collettivo come un eloquente e articolato testo architettonico, costituito da una fitta trama di segni materiali prodotti dalle vicende storiche che hanno caratterizzato la vita del territorio di Barumini nel corso di molti secoli.
Vediamo dunque brevemente la storia del Palazzo. Nel 1541 i marchesi Zapata ricevettero in concessione la baronia di Las Plassas, Barumini e Villanovafranca: istituirono così la sede baronale a Barumini e realizzarono, tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo, il palazzo che prende appunto il loro nome, dal quale amministrarono il feudo fino alla soppressione del regime feudale. L’edificio assunse così ben presto un’importante valenza come segno del potere.
Il palazzo è però degno di nota anche dal punto di vista architettonico: si tratta infatti di uno dei pochi esempi di edilizia civile seicentesca esistenti in Sardegna, realizzato ispirandosi all’altro palazzo di proprietà della famiglia Zapata, ubicato a Cagliari in via dei Genovesi, coerentemente con il modello classicista imposto da Filippo II. La costruzione presenta una planimetria a L ed è articolata in un piano terra e in un primo piano, al quale si accede tramite una scala esterna. Il portale e le finestre sono disposti in maniera asimmetrica e possiedono un timpano triangolare il quale, separato da una piattabanda (un arco piano), poggia su semicolonne con capitelli a canestro. All’interno del timpano del portale è scolpito lo stemma della famiglia Zapata: lo scudo con i tre calzari. Associati al corpo architettonico principale (il palazzo vero e proprio, che ora accoglie la sezione archeologica del polo museale) vennero realizzati gli ambienti relativi alla pertinenza agricola (attualmente destinati ad accogliere le sezioni storica ed etnografica). 


SOTTO IL PALAZZO
Ma la carica mnemonica incarnata nello spazio museale di Palazzo Zapata non si esaurisce qui. Nel 1990, nel corso dei lavori finalizzati proprio a realizzare il progetto di musealizzazione, sotto la struttura del palazzo vengono alla luce i muri di un imponente nuraghe complesso. Risulta subito evidente che le murature portanti del palazzo seicentesco utilizzarono le strutture nuragiche come fondamenta. La sua struttura, per la vicinanza con la chiesa parrocchiale della Beata Vergine Immacolata è stata battezzata Nurax’ ‘e Cresia dall’archeologo Giovanni Lilliu, una delle figure più illustri del panorama scientifico e culturale isolano, già scopritore del famosissimo nuraghe di Su Nuraxi ubicato anch’esso nel territorio di Barumini. Dal punto di vista tipologico, il nuraghe è classificabile tra i trilobati: è cioè un nuraghe dotato di tre torri di perimetro, raccordate da cortine rettilinee a formare il bastione. All’interno del bastione si trova il mastio, ovvero la torre centrale che fa perno architettonico dell’intero complesso.
Gli scavi, intrapresi a partire appunto dal 1990, anno della scoperta, sono ancora in corso. Al momento dunque le tappe dell’articolazione cronologica del monumento appaiono soltanto ipotizzabili: a un primo momento originario dovrebbe risalire l’impianto del mastio, a cui deve essere succeduta una seconda fase in cui sarebbero state aggiunte due torri e le cortine di raccordo, seguita poi da una terza fase in cui sarebbe stata realizzata la terza torre di perimetro, a ovest. Appaiono ancora visibili tratti dell’antemurale e di un’area di villaggio. Allo stato attuale della ricerca non è possibile andare oltre sul piano delle ipotesi. Sembra comunque indicativamente possibile, dal punto di vista cronologico, collocare le fasi di vita più intensa per le strutture di Nurax’ ‘e Cresia tra il 1200 e il 1000 a.C.
L’area occupata da Palazzo Zapata e dal sottostante Nurax’ ‘e Cresia, intorno alla quale hanno gravitato nel corso dei secoli varie energie insediative, dimostra dunque di aver svolto una significativa quanto indiscutibile funzione catalizzatrice delle presenze umane e di poter continuare a svolgere a pieno titolo tale funzione assumendo la nuova valenza di museo, cioè di luogo della memoria, oggi pienamente fruibile dal visitatore grazie al restauro di Palazzo Zapata realizzato con sensibilità e discrezione dall’architetto Pietro Reali. Affrontiamo allora una visita virtuale del complesso museale, cominciando dalla sezione archeologica. 


PASSERELLA SUL NURAGHE
Il percorso espositivo intende prioritariamente salvaguardare e valorizzare la più preziosa risorsa espositiva offerta al visitatore da questo spazio museale: l’opportunità di godere della visione dall’alto del monumento nuragico, resa possibile da un sistema di passerelle sospese e di pavimenti trasparenti realizzati a questo scopo.
Al tempo stesso però è parso opportuno non abbandonare il visitatore a una visione del tutto priva di sostegno informativo per ciò che concerne sia le strutture sia, più in generale, il mondo culturale di cui tali strutture sono un segno eclatante. Per questo motivo il visitatore viene accompagnato lungo l’intero percorso da una serie di pannelli che propongono un discorso di sintesi tra testi verbali e immagini tratte per lo più da altri siti, per accentuare l’intento di attribuire a ciascun pannello il valore di finestra tematica aperta sulla conoscenza delle risorse archeologiche presenti in Sardegna, offrendo così l’occasione di allargare le proprie conoscenze al di là del sito di Barumini e, al tempo stesso, di agevolare il corretto inquadramento dell’offerta archeologica di Barumini nel contesto isolano. Nella sua interezza, il discorso esplicativo presentato dai pannelli mira a offrire una sintesi d’insieme di quel sistema culturale che noi oggi chiamiamo civiltà nuragica, attraverso la presentazione di alcuni dei suoi principali tratti connotanti.
I pannelli seguono una logica modulare, per salvaguardare il diritto alla massima libertà di fruizione per il visitatore che, se vorrà, potrà utilizzare lo spazio museale come un’ipertesto, scegliendo se intraprendere una lettura integrale e sequenziale dei pannelli così come li troverà disposti lungo il percorso, oppure se optare tra una pluralità di letture parziali senza che né la coerenza discorsiva generale né la possibilità di comprensione dei singoli pannelli risultino alterate.
Entrando più in dettaglio, vediamo che una prima serie di pannelli accompagna il visitatore lungo la prima passerella, consentendogli di addentrarsi progressivamente in un percorso di conoscenza generale della civiltà nuragica proprio mentre compie una sorta di passeggiata al di sopra delle strutture pertinenti a Nurax’ ‘e Cresia. Superata questa passerella, si accede alla prima sala del secondo piano, nella quale troviamo esposti una serie di reperti articolati in cinque vetrine.
Questa sala restituisce una sintesi diacronica della storia di Su Nuraxi articolata nelle cinque fasi cronologiche identificate dall’archeologo Giovanni Lilliu.
In tal modo si persegue l’intento di amplificare le potenzialità informative del monumento più prestigioso di Barumini: Su Nuraxi, appunto, uno dei monumenti archeologici più conosciuti della Sardegna e più famosi al mondo, riconosciuto dall’UNESCO come patrimonio culturale dell’umanità. La sua escavazione, condotta da Giovanni Lilliu tra il 1951 e il 1956, ha assunto ben presto un valore fondamentale nella storia delle ricerche archeologiche in Sardegna, non solo per ciò che concerne l’ambito preistorico e protostorico. E’ parso quindi opportuno cogliere l’occasione della creazione di questa nuova realtà espositiva per offrire un’adeguata presentazione dell’immane patrimonio di dati archeologici provenienti dagli scavi di questo nuraghe.
La seconda e la terza sala ripropongono alcuni contesti particolarmente significativi del villaggio che circondava Su Nuraxi. Tra questi si segnalano i reperti rinvenuti nella capanna 80, da cui proviene il famoso betilo (pietra infissa verticalmente simile ai menhir) riproducente un nuraghe monotorre. La visita si conclude in una sala al primo piano in cui i reperti sono presentati seguendo un criterio tipologico, con l’intento di rendere più esplicite le funzioni originarie degli oggetti e di conseguenza le pratiche di vita in età nuragica. 


LA STORIA DEGLI ABITANTI
Abbiamo detto però che Palazzo Zapata non è un semplice museo ma un polo museale. Si tratta cioè di uno spazio in cui si è cercato di rendere conto della variegata e complessa articolazione di vita che ha caratterizzato la storia del territorio di Barumini. Ecco quindi la ragione per cui si è deciso di articolare il complesso museale in tre sezioni: archeologica, storica ed etnografica. Ciascuna sezione è dotata di una propria autonomia espositiva, ma è l’intero complesso che consente di cogliere appieno il senso della storia della presenza umana a Barumini.
Passiamo allora alla sezione storica, in cui le curatrici dell’allestimento, la dottoressa M. Rosaria Lai e la dottoressa M. Patrizia Mameli (Soprintendenza Archivistica per la Sardegna –SACA), ripropongono come esse stesse dichiarano, la narrazione della “storia comune” vissuta dalla famiglia Zapata e dalla popolazione di Barumini. Questo intento viene raggiunto proponendo al pubblico una imponente e preziosa documentazione d’archivio, recentemente recuperata da Lorenzo Ingarao Zapata di Las Plassas (erede della famiglia Zapata) nella sua abitazione romana e posta, con grande sensibilità culturale, a disposizione della Soprintendenza Archivistica per la Sardegna, da tempo impegnata nel recupero e nella valorizzazione degli archivi della comunità di Barumini.
I documenti ci offrono eterogenee testimonianze sulla vita dei Zapata:notizie sul cursus honorum dei primi baroni; sulle forme di trasmissione ereditaria delle cariche; sulle abitudini di vita quotidiana dei baroni a Cagliari e a Barumini, le due località in cui i Zapata fecero realizzare due prestigiosi palazzi tra la fine del ‘500 e gli inizi del ‘600; sui rapporti complessi con la comunidad de Baruminy, segnati da frequenti controversie fiscali tra il feudatario e i contadini e i pastori. Di particolare rilievo appaiono infine i documenti relativi al momento del riscatto del feudo, avvenuto nel 1839, e quelli relativi agli ultimi baroni Lorenzo e Concettina, di cui gli abitanti più anziani di Barumini conservano ancora un affettuoso ricordo.
Ed è proprio agli anziani di Barumini che la sezione etnografica, curata dall’architetto Liliana Fadda, sembra parlare con maggiore intensità emotiva, pur rivolgendosi a tutti i visitatori. In essa infatti vediamo riproposti gli utensili impiegati fino a non molti anni fa, e in alcuni casi ancora oggi, per le pratiche lavorative e più in generale di vita quotidiana. Si tratta di oggetti prodotti artigianalmente con l’impiego di materiali poveri – come legno, ferro, pelle, stoffa, giunco, fieno, terracotta e vetro – la cui produzione richiedeva una sapiente manualità tramandata di generazione in generazione come prezioso bagaglio di esperienze produttive. Un insieme di saperi che rischiano di essere dimenticati con il venir meno del sistema culturale di cui sono parte integrante e che questa sezione intende dunque contribuire a preservare, per lo meno in forma di memoria.
La sezione etnografica completa dunque il quadro conoscitivo d’insieme che il Polo Museale di Palazzo Zapata intende proporre.
L’obiettivo perseguito è stato quello di impiegare le tracce di passato rilevabili nel territorio di Barumini per tentare di trasmettere il senso di quel passato al quale la tradizione museale ha conferito il valore di memoria culturale.
Tutto ciò implica, evidentemente, una necessaria assunzione di responsabilità da parte nostra circa la funzione etica e morale che questa nuova realtà museale deve assumere.
Secondo il filosofo Avishai Margalit, l’etica si occupa di regolare quelle che egli chiama relazioni spesse, cioè le relazioni che “abbiamo con chi ci è vicino e con chi ci è caro”, mentre la morale si interessa delle relazioni sottili, cioè di quelle relazioni che “abbiamo con chi ci è estraneo e lontano”. Visto in quest’ottica, Palazzo Zapata si presenta come un utile strumento di comprensione delle dinamiche che regolano i rapporti tra una realtà fortemente connotata a livello locale sia in età antica sia oggi, come è quella di Barumini e del suo territorio, e il contesto globale, contribuendo ad avviare e sostenere il dialogo tra culture differenti. Se riuscirà in questo intento, questo museo, come ogni museo degno di questo nome, potrà offrire il proprio contributo ad alimentare i processi di interscambio culturale che, senza annullare l’imprescindibile valore delle relazioni spesse, creano e consolidano quelle relazioni sottili che fanno dell’insieme degli esseri umani una comunità nel senso pieno del termine.