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Sardegna

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Vivere la campagna

Magica Bell'Italia

copertina Magica Bell'Italia n. 38/2007
n. 38/2007 - Editoriale Giorgio Mondadori

 

Barumini. Non è proprio da tutti avere… un nuraghe in casa!

A Barumini, ombelico della Sardegna protostorica, un poderoso maniero del Cinquecento affonda le gambe in una dimora ancora più antica, un gigante di marna calcarea vecchio almeno 3.500 anni.
Quando tutto era solo una breve incurvatura del terreno, il professor Giovanni Lilliu fu secco e preciso come sempre: “Bisogna scavare qui, sotto il palazzo dei marchesi Zapata”. Lo battezzò che non era ancora nato: Nuraxi ‘e cresia, per via della vicinanza con la chiesa parrocchiale. Ma quando il gigante uscì dalla terra, anche se ormai tutti sapevano che era lì e tutti lo chiamavano per nome, nessuno riuscì a trattenere lo stupore: sotto le fondamenta di Palazzo Zapata svettava un colosso di pietra a tre torri con stanze, corridoi, stretti camminamenti, cortili e mura; un’invincibile fortezza di pietra a meno di un chilometro di distanza da Su Nuraxi - Patrimonio dell’ umanità, tutelato dall’ Unesco -, emblema basaltico degli “uomini di pietra” e dei loro baluardi. Dopo sedici anni di scavi casa Zapata si è trasformata in una straordinaria macchina del tempo. Si entra in una residenza nobiliare del Cinquecento e, dopo pochi passi, si finisce tremila anni indietro. I camminamenti costruiti su vetro conducono dritti all’età del Bronzo e consentono di osservare il nuraghe dall’alto, così come è impossibile vederlo altrove. La prima sensazione è di stupore. Poi subentra una fitta al petto: la miracolosa condivisione fisica del poderoso sforzo costruttivo e del meticoloso lavoro di progettazione degli antichi sardi. 

Le meraviglie di palazzo Zapata - che al suo interno contiene anche un’ esposizione etnografica, qualche reperto d’epoca nuragica e un museo digitale, per indagare la storia della Sardegna divertendosi con l’aiuto del computer - non sono però le uniche ragioni che giustificano una deviazione a Barumini. Il territorio comunale ospita infatti, oltre a Su Nuraxi, la bellissima chiesa parrocchiale della Beata Vergine Immacolata, quella cinquecentesca dedicata a Santa Lucia e la chiesa seicentesca intitolata a Santa Tecla. Pochi chilometri a nord c’è l’altipiano della Giara: un tavoliere di origine vulcanica ricoperto da boschi di leccio e sughere, punteggiato da caratteristici acquitrini (is paulis) e popolato dai piccoli e focosi cavallini, un’antica razza che vive solo in questo affascinante angolo di Sardegna.

Barumini è aperta ed accogliente: due alberghi, quattro ristoranti, numerosi bed and breakfast. In tavola trionfano i salumi locali, le carni arrostite e sa fregula incasada a sa marmiddesa, una fregola cotta e coperta con formaggio pecorino e salsa di pomodoro. Storia millenaria, natura unica, sapori forti: ricetta ideale per una vacanza da non dimenticare.
Ma palazzo Zapata non è l’unico esempio di nuraghe in casa. Gli ultimi, “autentici” nuragici cucinano col microonde e vestono alla moda. Lucia Virdis è in pensione, Gianni (suo figlio) fa l’allevatore, Ignazia (la figlia) l’insegnante di liceo. Vivono a Sindìa, a metà strada tra Macomer e Bosa. E - appunto - abitano in un nuraghe. Possibile? Gianni Virdis squaderna un atto notarile del 1920: acquisto di terreno con annesso nuraghe monotorre. La casa è stata costruita tre anni dopo, il nuraghe adibito a cantina. Caso unico in Sardegna: si bussa alla porta, alla fine del corridoio c’è la cucina che si affaccia sul cortile. Eccolo lì, il nuraghe: alto otto metri, largo il doppio, imponente. All’interno il panorama è tutt’altro che protostorico: i prosciutti maturano al fresco, in fondo i formaggi, salsicce e bottiglie disposte in bella vista. All’esterno, una scala consente di accedere alla sommità della torre per una vista straordinaria; sembra che Sindìa s’inchini davanti alla sua fortezza. 

Visitare questo monumento singolare è anche l’occasione per fare tappa nel piccolo centro della Planargia, solitamente escluso dalle indolenti rotte del turismo di massa, eppure ricco di straordinari monumenti. Nell’abitato, la chiesa di San Pietro è monumento nazionale. Poco distante, la chiesa romanico-gotica di San Demetrio con l’altare ligneo, un grande retablo e la statua del Santo, interamente ricoperta di oro zecchino, uno dei gioielli del Seicento sardo. A tre chilometri, lungo la Macomer-Bosa, si svolta al km 9,5 per visitare l’Abbazia cistercense di Santa Maria di Corte, un raro esempio di architettura romanico-borgognona. 

Nella vicina Riserva di Sant’Antonio - punteggiata da sughere, roverelle, leccio e agrifoglio -dominano l’astore e lo sparviere; la notte risuona il tetro lamento del barbagianni, mentre di giorno, quando l’aria tintinna del canto della ghiandaia, dello zigolo e della cinciallegra, gli amanti del birdwatching potranno osservare al lavoro il picchio rosso, lo scricciolo e il pigliamosche.
La frescura della campagna mette appetito. A tavola trionfa una cucina robusta a base di carne, richiamo alle radici pastorali: sa covazeddas de aba sono piccoli pani da condire con salse saporose; sa supafalza una zuppa di pane raffermo con cipolle, salsiccia e lardo a fette; s’anzone cun fenugiu il più tradizionale agnello in umido con finocchietti selvatici.

Giovanni Antonio Lampis