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Sardegna

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Vivere la campagna

Solo grano duro di Sardegna per difendere il “pane carasau”

malloreddus

Freitag, 21. Dezember 2012 - LA NUOVA SARDEGNA

CAGLIARI Dove c’è Sardegna, c’è casa e soprattutto non manca la qualità. Questo si sa da sempre e nulla sembra metterlo in discussione. Il problema è un altro per il grano duro del «senatore Cappelli», la semenza più antica, ma è lo stesso se sul bancone ci sono latte, formaggio, zucchine o patate: bisogna saper vendere. Altrimenti nell’isola continuerà l’invasione dell’agricoltura forestiera. L’unica strada per contrastare questo fenomeno (barbaro) è la filiera, cioè mettere insieme produttori e trasformatori, per poi entrare con più forza nel mercato della distribuzione, grande o piccola che sia. È questa la sfida lanciata dalla filiera del grano duro di Sardegna, capeggiata dalla cooperativa Madonna d’Itria di Villamar, che raggruppa 250 imprenditori agricoli, 7 centri di ammasso, 5 molini artigianali, due pastifici e un panificio. Il patto fra tutti ha un sacro obiettivo finale: far sì che il pane carasau o i ravioli non siano più prodotti col grano importato dalla Romania piuttosto che da altri paesi dell’Europa dell’Est. Nessuna di queste aziende sarde da sola ce l’avrebbe fatta a contrastare le multinazionali, o la pessima abitudine, addirittura locale, di contraffare la grande e gustosa tradizione agroalimentare. Così per superare il nanismo delle imprese indigene («È questo il grande problema dell’economia sarda», ha detto Pierluigi Monceri, direttore generale della Banca di Credito Sardo) da giugno questo piccolo ma agguerrito esercito si è messo a produrre, trasformare e vendere solo grano di Sardegna, a cominciare da quello del «senatore Cappelli», che è stato già benedetto dai gourmet del Gambero Rosso. Con risultati soddisfacenti nel primo approccio col mercato, ha detto Efisio Rosso della cooperativa di Villamar. Nell’ultima campagna il gruppo ha ammassato 90 quintali di granaglie nostrane e 25 mila saranno destinati alla produzione di pasta e pane tradizionali. Garantito l’equo compenso a tutti i protagonisti della filiera, fra un mese comincerà con un nuovo marchio la campagna di sensibilizzazione fra ristoratori e consumatori. «Vogliamo rafforzare il legame indissolubile fra la materia prima e il territorio», ha detto Luca Olla della Confartigianato e Michele Peano della Cna ha rilanciato: «La Sardegna deve sfruttare al massimo questo modello socio-economico se non vuole essere sopraffatta». E Virginio Condello della Confocooperative ha sostenuto che «il sistema integrato va replicato subito negli altri settori agro-alimentari per evitare che si disperdano le eccellenze della Sardegna». A sostenere l’iniziativa saranno anche i ristoratori, con la promessa – ha detto Nicola Murru della Confesercenti – che «c’impegniamo a portare in tavola solo prodotti originali non più contaminati da materie prime importate». Giusto: il pane carasau alla rumena è proprio una schifezza. (ua)