Logo of the Province of Middle Campidano

Sardegna

Salta la barra di navigazione e vai ai contenuti

Vivere la campagna

Storia, arte e cultura

Storia, arte e cultura 2008
marzo 2008 -

 

La Sardegna è frequentata dall’uomo fin dal Paleolitico inferiore, anche se solamente dal Neolitico Antico (6000 a.C.) si iniziarono a stabilire i primi nuclei sociali che daranno poi vita ad una delle civiltà tra le più affascinanti dell’intero bacino del Mediterraneo.
Sul territorio della Provincia del Medio Campidano sono numerose le testimonianze di primitive costruzioni risalenti al 3000 avanti Cristo.
Veri e propri scorci suggestivi sulla vita quotidiana di quel tempo sono i menhir di Cort’e’ Semmuccu e Genna Prunas e in tempi successivi, le “domus de janas” (grotte scavate nella roccia dove venivano seppolti i defunti).
É nell’età del Bronzo Antico (1800-1600 a.C.) che si inizia a diffondere in Sardegna quella che diventerà la misteriosa ed interessante civiltà nuragica. A tale periodo risalgono i protonuraghi di Bruncu Màdugui e Sa Corona, imponenti costruzioni di blocchi calcarei a secco, privi di cupola, realizzati in posizione dominante il territorio.
Nel Bronzo Medio (1600-1300 a.C.) ai primi nuraghi monotorre (Su Nuraxi-Ortu Cumidu) si affiancano ipogei megalitici: tombe dei giganti (Sa Gutta de Santu Giuanni, Su Cuaddu de Nixias, e Sa Domu ‘e s’ Orku).
L’ultima fase dell’Età del Bronzo (1300-900 a.C.) vede affermarsi la massima espressione dell’architettura megalitica in Sardegna; da semplici edifici monotorre, i nuraghi (Su Nuraxi, Nuraxi ‘e Cresia, Su Mulinu, Genna Maria) diventano strutture sempre più imponenti, assumendo per diversi secoli il ruolo di centro attorno al quale si svolgeva la vita delle comunità locali.
Nonostante diverse e articolate siano le teorie sul loro effettivo utilizzo (torri d’avvistamento, fortezze, dimore dei capi tribù, luoghi di culto, …), a tutt’oggi nessuna di tali ipotesi prevale sulle altre.Tale incertezza fa di queste monumentali opere dell’uomo nuragico dei veri e propri scrigni, che conserveranno ancora per chissà quanto tempo i loro millenari segreti.

Oltre alla Giara di Gesturi, anche quella di Siddi presenta interessantissimi siti archeologici.
La tomba dei giganti di Sa domu ‘e s’Orku è una tra le più imponenti e meglio conservate di tutta la Sardegna.
La mancanza di una stele unica ci indica che essa appartiene alle tipologie più antiche di questi monumentali luoghi di sepoltura. (Testo Walter Pagano)

Le domus de janas (nell’immagine sopra quella di Sa Domu ‘e s’Orku presso Setzu) venivano scavate direttamente sulla nuda roccia con rudimentali strumenti. Risalgono ad un periodo precedente (Cultura di Ozieri 4000 – 3000 anni a.C.) a quello delle tombe dei giganti e spesso, per numero e ubicazione, formano vere e proprie necropoli.

Come in molti altri insediamenti nuragici, anche nell’area di S. Anastasia, a Sardara, è presente un pozzo sacro dove si tenevano riti legati al culto dell’acqua.
Alcuni Autori ritengono che in tali siti vi si svolgesse anche il rito dell’ordalia, durante il quale si utilizzava il potere magico dell’acqua per giudicare una persona indiziata di qualche crimine.
Al presunto colpevole si bagnavano gli occhi con il liquido prelevato dalla sorgente sacra, che avrebbe dovuto accecare il malcapitato nel caso questo fosse realmente responsabile del reato attribuitogli. (Testi Walter Pagano)

L’ampia esedra della tomba dei giganti di San Cosimo (Gonnosfanadiga). Lo spazio era delimitato da grossi massi infissi nel terreno e disposti a semicerchio che, assieme al corpo centrale del sepolcro, andavano a formare la protome taurina. Questo simbolo serviva probabilmente ad allontanare gli influssi magici maligni durante i riti che accompagnavano il defunto nel suo viaggio verso l’aldilà. (Testo Walter Pagano)

La reggia nuragica Su Nuraxi (Barumini), dichiarato dall’Unesco “Patrimonio dell’Umanità” è il più possente dei complessi nuragici. La prima costruzione risale al 1450 a.C.; è stata modificata ed ampliata, nel corso dei secoli, sino a raggiungere le dimensioni attuali. É stata frequentata per circa 1200 anni, sino al 300 a.C..
Ai suoi piedi sono visibili i resti di un villaggio nel quale si distinguono diverse capanne tra le quali molto interessanti quelle che conservano tracce di forni, di sedili in pietre e una vasca.

Talvolta le costruzioni nuragiche sono state utilizzate in diversi periodi storici, durante i quali si apportavano modifiche e migliorie. Nel nuraghe di Su Mulinu, presso Villanovafranca, questi interventi sono messi in evidenza dai diversi stili architettonici adottati durante il suo periodo di frequentazione che va dal VII sino al IV secolo a.C. Al suo interno è stato trovato un altare a forma di vasca, risalente alla prima Età del Ferro, utilizzato probabilmente durante riti sacrificali in onore della dea Luna. (Testo Walter Pagano)

Nelle immagini due interessantissimi reperti rinvenuti durante gli scavi nel sito di Genna Maria: due pintadere con le quali si decorava il pane e un askos, vaso dalla forma particolare utilizzato probabilmente durante riti religiosi.

Nel Museo Naturalistico del Territorio del Consorzio Sa Corona Arrubia è possibile osservare questa veritiera ricostruzione di una capanna del periodo Neolitico.

Durante la campagna di scavi che ha interessato il sito nuragico di Genna Maria, a Villanovaforru, si è scoperto che probabilmente il villaggio fu distrutto da un improvviso incendio. Gli abitanti, a causa della precipitosa fuga, non riuscirono a portar via con loro suppellettili, armi e oggetti d’uso quotidiano, che furono ritrovati dagli archeologi ancora al loro posto, dopo quasi 3000 anni.

La tomba dei giganti di Su Cuaddu de Nixias, presso Lunamatrona. Una delle particolarità di questa tomba è la decorazione a quadri che presenta nella parte inferiore della stele, ai lati del portello d’ingresso.
Questo luogo di sepoltura veniva probabilmente utilizzato dalle comunità dei vicini protonuraghi di Trobas e Pitzu Cummu. Il foro sulla parte superiore risale ad epoca storica ma non ne è noto il suo utilizzo. (Testi Walter Pagano)

Al confine tra i due Giudicati.
Negli ultimi secoli del I millennio d.C. si realizzano in Sardegna le prime forme autonomistiche: i Giudicati, veri e propri regni sovrani, con le proprie leggi “cartas de logu”, proprie istituzioni, propri emblemi e, lungo le frontiere, manieri fortificati (Monte Arcuentu, Las Plassas, Monreale e Sanluri quest’ultimo ancora abitato, al centro della cittadina), che separavano il Giudicato di Cagliari dal Giudicato d’Arborea. L’autonomia del Giudicato di Cagliari viene a cessare definitivamente nel 1257, quello di Arborea nel 1420. L’architettura ecclesiastica ha prodotto monumenti semplici ma originali, più evidenti nelle tante chiese campestri mentre nei centri abitati si è cercato di armonizzare lo stile romanico con quello gotico (San Gregorio). L’attività pittorica è di importazione con prevalente influenza della scuola aragonese catalana e del manierismo campano evidente nei retabli, che è il genere artistico predominante, visitabili a Tuili e Villamar.

Chiesa di Santa Severa a Gonnosfanadiga.
Al suo interno è custodita una statua lignea della Santa che, secondo una leggenda, da diversi secoli non è stata più rimossa dalla sua collocazione attuale. (Testo Walter Pagano)

Particolare del bassorilievo che decora una delle architravi della chiesetta campestre di San Michele Arcangelo a Siddi.
A destra. La chiesa di S. Gregorio (XIII - XIV) a Sardara è caratterizzata da una particolare duplicità stilistica: l’eleganza gotica e l’austerità romanica. (Testo Walter Pagano)

Tra le diverse preziosità artistiche che la chiesa di San Pietro a Tuili conserva, vi è il Retablo di S. Pietro, opera risalente al 1500 e attribuita al Maestro di Castelsardo.
I capolavori artistici di questo artista, sono ritenuti la massima espressione della produzione pittorica di influenza catalana in Sardegna.
Le sue opere possono essere apprezzate, oltre che a Tuili, Castelsardo e Cagliari, anche in alcuni musei di Ajaccio, Barcellona e Birmingham.

Il campanile della chiesa di S. Antonio Abate a Tuili.
L’importanza di questo edificio religioso, terminato nel 1582, è dovuta al suo stile rustico di scuola sarda, uno dei pochi esempi in Sardegna.

La chiesa di S. Pietro, a Villamar, risale al XIII secolo e rispecchia le influenze architettoniche arabe su un impianto originario romanico pisano.
Nell’immagine a destra, il particolare degli archetti che decorano l’abside.

All’interno del Castello di Sanluri, ancor oggi abitato, si conservano antichi cimeli d’epoca raccolti in un curato museo inaugurato nel 1927 dal generale Nino Villasanta. Una curiosità legata alla storia di questo castello è riportata su alcuni documenti storici che riferiscono come le mura esterne, spesse 1,80 metri, lunghe 27 e alte 10, siano state costruite in soli 27 giorni e 27 notti. (Testo Walter Pagano)

Il Castello di Las Plassas faceva parte della cinta difensiva del Giudicato d’Arborea e fu edificato sopra una collina perfettamente conica, tanto da sembrare artificiale. (Testo Walter Pagano)

Le imponenti mura del Castello di Monreale fanno immaginare quale fosse l’importanza strategica di questa costruzione fortificata. Posto sulla sommità della collina omonima, dominava il borgo sottostante e permetteva un efficace controllo sul confine che separava il Giudicato di Cagliari da quello d’Arborea.
Al suo interno sono ancora visibili le capienti cisterne che fornivano una consistente scorta d’acqua in caso di assedio. (Testo Walter Pagano)

Interno della Sala azzurra della Direzione della Miniera di Montevecchio, presso Guspini.
L’attento intervento di restauro che ha interessato le strutture di questa miniera, mette in evidenza quale può essere l’interesse storico-artistico di questi luoghi, che rischiavano di andare perduti per sempre cancellati dal tempo e dall’incuria. (Testo Walter Pagano)

Le Miniere: monumenti esemplari di archeologia industriale.
La parte occidentale della Provincia del Medio Campidano è stata il centro di un’attività mineraria di rilevanza nazionale.
Tutto il territorio del Monte Linas, uno dei più antichi della Sardegna formatosi 450 milioni di anni fa, conserva imponenti testimonianze di archeologia industriale. Montevecchio, Ingurtosu, Canale Serci, Perd’e Pibera e Naracauli sono i maggiori centri, ma le miniere sono sparse ovunque, raggiungibili con una rete di strade e di sentieri. Fabbricati imponenti: magazzini, impianti di lavaggio dei minerali, teleferiche, linee ferroviarie, officine, dimore degli operai, palazzine degli uffici e dei dirigenti attestano l’intensa attività estrattiva che impegnava decine di migliaia di lavoratori.
A metà del XX secolo sono state chiuse le ultime miniere; edifici e strutture abbandonate sono disseminate ovunque. Le più rilevanti costruzioni sono attualmente oggetto di recupero conservativo così da realizzare un vero e proprio grande museo di archeologia industriale. (Testo Walter Pagano)

Come per altri impianti di estrazione, anche nella Miniera di Montevecchio e nella Laveria Lord Brassey in località Naracauli sembra quasi che operai, minatori, dirigenti abbiano abbandonato all’improvviso il loro lavoro per chissà quale misteriosa ragione.
E’ questa la sensazione che prova un visitatore girando per i corridoi silenziosi, tra le vasche di decantazione, tra i macchinari che, da un momento all’altro, sembra vogliano rimettersi in moto con fragore, lacerando la tranquillità che avvolge questi affascinanti luoghi. (Testo Walter Pagano)

I bei portali che accoglievano il visitatore all’interno delle tipiche case campidanesi, erano spesso personalizzati con simboli ed incisioni proprie della famiglia che vi abitava. (Testo Walter Pagano)