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Piccole cantine grandi progetti Pietro Lilliu scommette sulla Marmilla Il padre Michele: «L'individualismo rovina dei sardi» «Sogno un vino da forti emozioni»

Prodotti dell'Azienda Agricola Lilliu di Lilliu Pietro

Mittwoch, 4. Juni 2008 - L'Unione Sarda

Ussaramanna Sulle orme del padre. A 26 anni, Pietro Lilliu è già titolare di un'azienda vinicola. Quattro ettari, coltivati a spalliera, in un leggero declivio proprio sotto Sa Sedda, postazione collinare con vista mozzafiato sulla Giara di Gesturi, fra siti archeologici, ulivi millenari, testimoni di un florido, antico passato agricolo. Un patrimonio di economia, cultura e ambiente che ha avuto un ruolo decisivo quando Pietro, a vent'anni, ha scelto cosa fare da grande. E ha voluto seguire una strada già percorsa da papà Michele, 66 anni, imprenditore agricolo dalle idee innovative. Fra le sue iniziative, le aziende conserviere Enas e Green Gold, poi passate in altre mani. Al figlio, giunto alla soglia della maturità, ha detto: "Prendi coscienza di chi sei, cosa vuoi e dove stai andando". Pietro ha scelto la Marmilla, la sua terra, il suo vino. A fianco, la sorella Silvana (che si appresta ad aprire un'azienda di prodotti sott'olio) ma anche il fratello Giacomo, tecnico che gira il mondo montando impianti industriali e un'altra sorella, Annachiara, psicologa. Scelte diverse, che non impediscono ai quattro giovani di restare uniti, in una famiglia in cui si intuisce anche l'impronta di una mamma, Federica Lazzati, milanese, insegnante, (cugina di Giuseppe Lazzati, ex rettore dell'Università cattolica).
Una famiglia che (metaforicamente) vive in cantina. Gli impianti si trovano infatti nei piani sottostanti la villetta di via Sardegna: pressa per la pigiatura delle uve, serbatoi per mosti e vini, linea di imbottigliamento. Tutto in uno sfavillio di acciaio inossidabile, eccetto una piccola e fresca zona sotterranea dove dominano luce soffusa e i colori caldi delle botti di quercia in cui riposa la Malvasia Novida. La famosa Malvasia di Cagliari Doc, oggi quasi un reperto enologico che Pietro vuole riportare agli antichi splendori. Perché sulla qualità ha le idee chiare. Per la Novida ma anche per Diciosu, Cannonau Doc, Birbanti, Vermentino di Sardegna e Biazzu, rosso vigoroso ottenuto da un uvaggio di Cannonau e Bovale, con piccola aggiunta di Cabernet, Merlot e Syrah.
Gli brillano gli occhi quando svela il suo sogno: «I vini sono certo di qualità superiore alla media, ma il mio obiettivo è arrivare al livello di certi Amaroni e soprattutto del Turriga. Voglio che provochino emozioni, in grado di lasciare qualcosa di indimenticabile in chi li gusta. Vini fatti con amore».
Nelle ultime quattro parole c'è tutto il rapporto di Pietro con la sua cantina: «Le piccole aziende devono avere un'anima. E il mercato ci accoglie, ci dà il successo se riusciamo a metterci un po' di sentimento. Quando compra le mie bottiglie la gente deve sentire l'amore che metto nel lavoro».
Pietro sa benissimo che oggi esistono tanti buoni vini, ma lui vuole realizzare qualcosa di speciale, che non sia solo il frutto di una buona tecnica di coltivazione del vigneto e di appropriate metodologie in cantina. Ha iniziato piano piano, con un solo ettaro di vigna «e la possibilità di estendermi sui terreni vicini mi sembrava un'ipotesi irrealizzabile». Oggi ha quattro ettari, produce fra le venticinquemila e le trentamila bottiglie, ma i numeri non rappresentano il problema principale. «Non lavoro per fare un business industriale, ma per vivere dignitosamente. Il vigneto produce settanta quintali di uva per ettaro, non più di due chili per ceppo». Ammette di aver compiuto sacrifici, «l'80 per cento dell'azienda è stato realizzato con risorse della famiglia. Non è stato facile», ma non si sente arrivato. «I riscontri del mercato, dopo appena tre anni di attività, sono buoni, ma sento di avere ancora molta strada da fare. Voglio imparare da chi ne sa più di me». Per questo collabora con chi ha i suoi stessi problemi, giovani imprenditori come Sedilesu di Mamoiada, e i titolari di Vini Mura e Olbios, della Gallura. «Quando si è piccoli, da soli non si va da nessuna parte, meglio affrontare insieme il mercato. Per questo ci incontriamo, ci scambiamo esperienze, a volte anche clienti. Abbiamo capito che l'individualismo non paga».
Parole quasi rivoluzionarie in un ambiente, quello del vino sardo (ma non solo), in cui il pregiudizio nei confronti degli altri e la lotta di tutti contro tutti sono una regola. «Ci trasciniamo da sempre una brutta cultura individualista - interviene Michele Lilliu -: il sociale ci sta bene solo quando ci fa comodo, ma appena si tratta di fare sacrifici per il bene comune ci tiriamo indietro».
Summa in cui si riflette il fallimento di buona parte della cooperazione in Sardegna. Per questo l'imprenditore caldeggia un progetto di recupero di terreni, marginali ma fertili, in un'area vasta circa cinque chilometri, fra Ussaramanna, Siddi, Lunamatrona e Pauli Arbarei, in cui riavviare attività tradizionali oggi abbandonate. Come la produzione di mandorle e prugne, ma anche l'apicoltura per poi rivolgersi all'industria dolciaria «con un prodotto pronto al consumo e un buon potere contrattuale». Il tutto, in sinergia col turismo e la valorizzazione delle risorse culturali del territorio.
Anche il giovane Pietro è orientato a seguire questa strada. Si sente cittadino della Marmilla, ne ha assorbito appieno la civiltà e ora vuole trasmetterla agli altri. Col vino strumento di mediazione. «Senza il vino, non avrei mai avuto la possibilità di fare certe esperienze, conoscere, confrontarmi con persone che non avrei mai potuto avvicinare».
Oggi, una delle sue più grandi soddisfazioni è ricevere i turisti in cantina, accompagnarli in un suggestivo itinerario nel "suo" territorio, fra ulivi, mandorleti semiabbandonati e un'infinità di siti archeologici ancora, in parte, da scoprire. Su su, fino in cima a una collina, alta 300 metri, da cui si gode un panorama di struggente bellezza. «Signori, ecco la Marmilla» dicono i suoi occhi, che brillano di orgoglio nell'indicare le dolci alture, i paesi, e laggiù la linea dell'orizzonte coperta dalla foschia dello scirocco. «Ma quando è bello si vede anche il mare del Poetto».
Dietro la sua gioia, c'è un'aspirazione, un progetto di accoglienza, cui far collaborare anche la sorella psicologa, da realizzare accanto al vigneto «per far conoscere alla gente le realtà più care che ci circondano, le emozioni più sane per vivere bene, insegnargli a ritrovare l'equilibrio perduto con la natura. Scommessa non impossibile davanti a un bel panorama, se si riesce ad apprezzare il profumo dei mandorli e un bicchiere di ottimo vino». Lucio Salis